Londra come Singapore? La “pazza idea” che contagia i duri della Brexit

Il futuro di Londra dopo la Brexit? Una Singapore sulle rive del Tamigi. Negli ambienti politici e accademici conservatori della Gran Bretagna si fa largo la “pazza idea” di trasformare la City in una sorta di Eldorado finanziario basato su scambi commerciali deregolamentati e su una tassazione soft per le società. È il cosiddetto “Singapore-on-the-Thames scenario”, che vedrebbe Londra trasformarsi in un paradiso fiscale al pari delle Cayman, delle Bermuda e delle Isole del Canale della Manica. Un centro offshore dalle dimensioni gigantesche che fungerebbe da collegamento tra le piazze finanziarie dell’Unione europea e quella di New York.

Il report della City University of London

Dell’ipotesi se ne discuteva già nel maggio 2017 in un report del Cityperc (City political economy research centre) della City University of London. Oggi a tornare sull’argomento è il fondatore del Tax Justice Network, John Christensen in un paper pubblicato dalla rivista del think thank britannico Ippr (The progressive policy think thank).

“Possiamo permetterci la City di Londra?” si chiede provocatoriamente Christensen nel titolo del documento. La conclusione, nelle ultime righe del suo scritto, è che «per troppo tempo la strategia di sviluppo della Gran Bretagna si è basata sul mito indolente che ciò che è buono per la City è positivo per tutti. È tempo di ripensarlo».

Il “Singapore-on-the-Thames scenario”

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Ma che cos’è il “Singapore-on-the-Thames scenario“? Secondo questa teoria, Londra potrebbe capitalizzare l’uscita dall’Unione europea ritagliandosi un ruolo ben definito: facilitare le transazioni tra il sistema finanziario Usa, sempre più dominante, e le società della Ue alla ricerca di un accesso ai mercati statunitensi.

I teorici del modello-Singapore ritengono che la Brexit rappresenti un’opportunità per rimuovere del regole imposte da Bruxelles trasformando la City in un ambiente molto più attrattivo per il capitali che si muovono globalmente. La Gran Bretagna potrebbe dunque diventare un serio competitor della Svizzera, così come Singapore – l’economia più dinamica dell’Asia – lo è per il mercato orientale. Una illusione, secondo Anastasia Nesvetailova, della City University of London.

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Anche Ronen Palan, docente nella stessa università e autore di importanti libri sui paradisi fiscali, ritiene che il “Singapore-on-the-Thames scenario” sia più un progetto ideologico che una prospettiva reale. E anzi – rincara Stefano Pagliari, anche lui della City University – potrebbe innescare una competizione verso la deregolamentazione con altri paesi che potrebbero rispondere alle misure decise dalla Gran Bretagna innescando una spirale al ribasso.

Azzerare l’imposta sulle società

Ma in che modo Londra potrebbe seguire l’esempio di Singapore? Una strada – sostiene Richard Murphy, docente alla City University e membro del Tax Justice Network – potrebbe essere quella di azzerare le imposte sulle società, già ridotte recentemente dal 28% al 20% e con la previsione di tagliarle ancora al 17% (a Singapore l’imposta sulle società è del 15%).

L’abolizione delle imposte sulle società, spiega Murphy, dovrà però essere compensata. Oggi la corporation tax porta nelle casse del fisco britannico 52 miliardi di sterline all’anno, circa il 7,5% delle entrate fiscali complessive. E dunque bisognerebbe tassare i proventi degli azionisti britannici delle società alla più alta aliquota marginale. In poche parole aumentare il prelievo sui residenti più ricchi in Gran Bretagna.

Benvenuti a Londongrad

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Ma a ben vedere, Londra è già un paradiso fiscale. Secondo John Christensen (nella foto), «oltre ai ristoranti, alle scuole private e ai servizi di concierge che forniscono ogni servizio personale immaginabile, Londra – conosciuta a Mosca come Londongrad – ha molto da offrire agli oligarchi e ai riciclatori di denaro. La pura verità è che la città è considerata la capitale del riciclaggio di denaro del mondo».

La City – insieme alle Dipendenze dalla corona (come Jersey, Guernsey e l’Isola di Man) e ai Territori d’oltremare (Cayman, Bermuda, Isole vergini britanniche e così via), fornisce numerosi meccanismi per consentire il riciclaggio di denaro sporco, utilizzando proprio i Territori d’oltremare e de Dipendenze della corona. Metà delle 240mila società di comodo utilizzate dallo studio legale panamense Mossack Fonseca sono state incorporate nelle Isole vergini britanniche.

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Alimentato dall’ambizione di diventare il centro finanziario offshore leader a livello mondiale – spiega Christensen -, il modello di business della City fa affidamento su afflussi di capitali di dubbia provenienza e su un’infrastruttura per la lotta alla criminalità finanziaria che la maggior parte degli esperti considera poco più di un villaggio Potemkin.

Grigorij Aleksandrovic Potemkin era un politico e militare russo che – secondo quanto narra la leggenda – per far buona impressione sull’imperatrice Caterina II, fece costruire molti villaggi che ad una prima impressione sembravano veri, ma in realtà erano di cartapesta.

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La City, le Dipendenze della corona e i Territori d’oltremare controllano circa il 23% del mercato globale dei servizi finanziari offshore. Le giurisdizioni segrete britanniche formano una ragnatela progettata per facilitare un flusso finanziario illecito verso la City, dove si stima che ogni anno vengano riciclati circa 90 miliardi di sterline, secondo la National crime agency del Regno Unito.

Il ruolo negativo dei paradisi fiscali

È ampiamente riconosciuto che i paradisi fiscali contribuiscono all’impoverimento di paesi ricchi e poveri, consentendo il riciclaggio di denaro, la cleptocrazia, l’evasione fiscale e l’elusione. L’entità delle perdite derivanti da questi diversi tipi di furti illegali e legalizzati è difficile da calcolare; la migliore stima per le perdite di entrate globali dovute esclusivamente allo spostamento degli utili aziendali ammonta a 500 miliardi di dollari all’anno, con i paesi più poveri che sono significativamente più danneggiati rispetto ai paesi più ricchi.

Gli economisti Léonce Ndikumana e James Boyce dell’Università del Massachusetts stimano che lo stock accumulato di capitali fuoriusciti dall’Africa subsahariana sia di 944 miliardi di dollari, circa cinque volte più del debito estero di quella regione. James Henry della Columbia University stima invece che le ricchezze personali conservate nei centri offshore sia di 21 trilioni di dollari. La segretezza offshore facilita le pratiche di corruzione e contribuisce all’aumento delle disparità di reddito e ricchezza.

Le soluzioni

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«La Brexit – scrive Christensen – pone domande fondamentali sulla fattibilità di una strategia di sviluppo di un “Singapore-on-the-Thames scenario”. Si attende da tempo che che si tenga un serio dibattito nazionale sul ruolo utile che la City e i suoi satelliti fiscali potrebbero avere nel futuro sviluppo della Gran Bretagna. L’elenco delle possibili riforme è pressoché infinito. Si può agire immediatamente per tassare gli oligarchi rimuovendo la clausola “non dom” (residenti non domiciliati, ndr) e introducendo una tassa sul patrimonio. L’introduzione di una tassa sulle transazioni finanziarie ridurrebbe gran parte del commercio socialmente inutile. Si potrebbe aumentare l’aliquota dell’imposta sul reddito delle società. Tassare le banche, e se minacciano di andarsene, salutarle affettuosamente. Dire anche addio al Remembrancer, il lobbista della City all’interno della Camera dei Comuni. Per troppo tempo la strategia di sviluppo della Gran Bretagna si è basata sul mito indolente che ciò che è buono per la City è positivo per tutti. È tempo di ripensare a tutto ciò».

Twitter: Angelo_Mincuzzi

angelo.mincuzzi@ilsole24ore.com

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