Quando esploderà la rivolta degli onesti? Diciamocelo chiaramente e senza giri di parole: l’Italia ha bisogno di una ribellione dei cittadini leali che pagano le tasse fino all’ultimo centesimo. Una protesta pacifica, culturale e politica. Ma necessaria. Oggi più che mai. Anche perché – numeri alla mano – i cittadini onesti sono la maggioranza della popolazione ma continuano a essere inascoltati e vessati da imposte che – proprio perché pagate fino alla fine – sono sempre troppo alte. Mentre l’evasione fiscale, a lungo andare, logora il tessuto democratico di un Paese fino a distruggerlo.
Ne ho parlato anche nel mio ultimo libro “Europa parassita – Come i paradisi fiscali dell’Unione europea ci rendono tutti più poveri“, pubblicato da Chiarelettere.
Chi paga le tasse, paga anche quelle che non vengono versate dagli evasori fiscali. Se tutti pagassero, infatti, la pressione fiscale potrebbe diminuire di almeno il 20%. Significa – per banalizzare – che a fine mese nelle tasche degli italiani onesti entrerebbe il 20% di soldi in più. Fate qualche conto.
Ma questo non accade. E ciò che è più grave è che a pagare tutte le imposte sono sempre i soliti. Ma anche gli evasori fiscali sono sempre gli stessi.
I partiti politici ritengono che la lotta all’evasione fiscale non paghi politicamente, perché alla base c’è un problema culturale tutto italiano. L’evasione fiscale non suscita riprovazione morale come dovrebbe, forse perché lo Stato è percepito come un’entità lontana e inefficiente. Talvolta anche corrotta. Ma lo Stato siamo noi e le imposte sono il prezzo che dobbiamo pagare se vogliano una società democratica. Non solo per il welfare e le infrastrutture ma anche per la difesa dei diritti di cui usufruiamo quotidianamente, quegli stessi diritti che tutelano anche la proprietà privata oltre a proteggere i più deboli.
Quando i governi dicono che non ci sono soldi da investire nella sanità, nell’istruzione, nelle infrastrutture non dicono tutta la verità. Perché i soldi ci sarebbero, se solo tutti versassero le imposte e si combattesse sul serio la piaga dell’evasione fiscale. A qualcuno questo ragionamento potrà sembrare semplicistico ma in sostanza quello che accade è proprio questo.
Facciamo due conti. Negli ultimi dieci anni le imposte evase in Italia hanno raggiunto la ragguardevole cifra di 932,3 miliardi di euro. Quasi 1.000 miliardi che avrebbero potuto essere utilizzati per ridurre le tasse (a chi le paga) e migliorare la vita di tutti noi.
Chi sono gli evasori
Ma chi evade le imposte? Anche questo dato è noto da tempo. Ma andiamo con ordine.
Nel 2022 lo Stato ha incassato dalle imposte 544 miliardi di euro. La tassa più importante è l’Irpef, cioè l’imposta sui redditi delle persone fisiche, che è pari a circa il 40% di quei 544 miliardi finiti nelle casse pubbliche: in pratica, 205,8 miliardi.
Vediamo adesso chi ha pagato questi 205,8 miliardi.
L’81,5% dell’Irpef (pari a 166,5 miliardi) viene versato dai lavoratori dipendenti (85,5 miliardi dai dipendenti del settore privato e 81 miliardi da quelli pubblici).
Solo il 6,1% arriva dai lavoratori autonomi, che versano 12,6 miliardi di euro di imposte. Il resto della somma, per arrivare a 205,8 miliardi, è catalogato nel bilancio dello Stato sotto le voci “ritenute a titolo di acconto sui bonifici per beneficiare di oneri deducibili o detraibili”, “Irpef saldo” e “Irpef acconto”.
I lavoratori dipendenti in Italia sono circa 18 milioni, i pensionati 16,1 milioni e i lavoratori autonomi circa 5 milioni.
E torniamo alla domanda: chi evade le tasse? La risposta la fornisce la Relazione sull’economia non osservata e sull’evasione fiscale e contributiva. Secondo gli ultimi dati, le imposte evase dai lavoratori dipendenti irregolari (quelli regolari non possono evadere nemmeno un centesimo di quanto guadagnano) sono pari a 3,9 miliardi di euro. Quelle non versate dai lavoratori autonomi superano i 30 miliardi di euro.
Ma c’è un altro dato che fa ulteriore chiarezza. Ed è quello relativo alla propensione all’evasione, che identifica il rapporto percentuale tra l’ammontare del tax gap e il gettito teorico ovvero la percentuale di imposte che non vengono pagate rispetto a quanto sarebbe dovuto. I lavoratori dipendenti irregolari (ricordate, i regolari non possono evadere) non pagano al fisco il 2,3% di quando dovrebbero. I lavoratori autonomi, invece, evadono il 67,2% di quanto dovrebbero versare.
Avete letto bene: il 67,2%. Significa che quasi il 70% delle imposte dovute dai lavoratori autonomi non viene versato.
Nel frattempo, l’estensione della platea dei lavoratori autonomi che versa la flat tax del 15% crea un’ulteriore distorsione dei dettami dell’articolo 53 della Costituzione italiana, che recita: “Tutti sono tenuti a concorrere alle spese pubbliche in ragione della loro capacità contributiva. Il sistema tributario è informato a criteri di progressività”.
Ma la progressività sembra essere sempre più una chimera in Italia. Come ha dimostrato un recente studio della Scuola Superiore Sant’Anna di Pisa e dell’Università di Milano-Bicocca (firmato da Demetrio Guzzardi, Elisa Palagi, Andrea Roventini e Alessandro Santoro), il sistema fiscale italiano è blandamente progressivo solo per il 95% dei contribuenti ma diventa regressivo per il 5% più ricco. Chi guadagna oltre 500mila euro all’anno paga la imposte con un’aliquota del 36% contro il 50% di chi guadagna meno. Questo perché i guadagni dei più ricchi non derivano dal reddito da lavoro (tassato fino al 43%) ma da redditi da capitale, tassati al 26% e addirittura al 12,5% per i titoli di Stato.
Il nuovo concordato
Il sistema fiscale italiano è, dunque, sempre più iniquo. L’ultimo esempio è il nuovo concordato biennale che il Parlamento sta trasformando in una legalizzazione dell’evasione fiscale.
Il concordato funziona così: il Fisco propone ai lavoratori autonomi e alle imprese con fatturato inferiore a 5 milioni di euro il reddito su cui essere tassati. Se il contribuente accetta, per i due anni successivi sarà in regola e pagherà solo quanto stabilito, anche se guadagnerà di più. In questo periodo dovrà dichiarare quanto effettivamente guadagna, anche se pagherà solo quanto concordato, perché queste informazioni serviranno per stabilire l’imposta dei due anni successivi. E non avrà nessuna conseguenza se nasconderà al Fisco fino al 30% dei suoi introiti.
Il decreto del Consiglio dei ministri prevedeva che il concordato preventivo fosse rivolto solo ai contribuenti affidabili, con un punteggio fiscale pari a 8 ma le commissioni parlamentari nei loro pareri al decreto hanno proposto di estendere il concordato a tutti contribuenti, anche a quelli con punteggio inferiore a 8. Non solo. Era stato anche previsto di imporre al Fisco di fare un proposta di calcolo del reddito che non poteva essere maggiore del 10% di quanto dichiarato dal contribuente nell’anno preso a riferimento. Ma se quell’anno il lavoratore autonomo aveva evaso gran parte delle imposte, questo si sarebbe tradotto in una legalizzazione dell’evasione. Se aveva guadagnato 100 e aveva dichiarato 30, il Fisco non avrebbe potuto proporre un reddito imponibile superiore del 10% a quel 30 dichiarato. Un effetto di questa misura – se fosse passata al vaglio del Parlamento – sarebbe stato quello di cancellare dalle statistiche una buona fetta di evasione fiscale. Poi, per fortuna, il tetto del 10% è stato stralciato.
«La Repubblica è nel senso civico di chi paga le imposte perché questo serve a far funzionare l’Italia e quindi al bene comune», ha detto il Capo dello Stato, Sergio Mattarella, nel suo discorso di fine anno. Questo è un punto importante. Perché, prima di tutto, è il senso civico degli italiani che deve risvegliarsi.
Finora a pagare tutto e subito restano, infatti, i lavoratori dipendenti e i pensionati. Ma fino a quando? Fino a quando, cioè, sopporteranno in silenzio e accetteranno di pagare anche le tasse degli evasori fiscali?
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