Gli italiani alla corte di “re Arnault”, da Concetta Carestia a Toni Belloni. I ritratti di vent’anni fa

Pietro Beccari non è il primo italiano a salire ai vertici del marchio francese Louis Vuitton. Il patron del gruppo Lvmh, Bernard Arnault, ama i manager italiani e più di vent’anni fa ha già affidato la responsabilità del marchio del lusso LV a dirigenti del nostro paese. Nel 1999 fu il perugino Gianluca Brozzetti a guidare la società. Subito dopo toccò a Marcello Bottoli diventare presidente e direttore generale di Louis Vuitton Malletier.

Ma la presenza di italiani ai vertici del gruppo Lvmh parte da lontano. Nel 1985 la manager foggiana Concetta Carestia Lanciaux incontra Arnault e diventa uno dei principali consiglieri del futuro re del lusso. E poi, nel 2001 numero due del gruppo Lvmh diventa Antonio Belloni, per gli amici Toni, manager di Gallarate proveniente da Procter & Gamble.

Qui di seguito ripropongo i ritratti di Brozzetti, Carestia Lanciaux e Belloni che avevo incontrato tra il 2000 e il 2001 e che erano stati pubblicati sul Sole 24 Ore. Belloni lavorava ancora in Procter & Gamble.

IL SOLE 24 ORE

Un perugino alla corte di re Arnault

Chi è l’italiano che regge le sorti del marchio più prestigioso di Francia: ritratto di Gianluca Brozzetti, presidente di Louis Vuitton

29 GENNAIO 2001

Il re del lusso, Bernard Arnault, ha avuto ragione ancora una volta. Consegnare le redini della Louis Vuitton, marchio storico del gruppo Lvmh e sancta sanctorum dell’orgoglio francese, a un manager straniero, e per di più italiano, non deve essere stata una scelta semplice. E non perché Gianluca Brozzetti, perugino, classe 1954, un passato in Gucci e Bulgari, non fosse la persona giusta. Ma è come se alla presidenza della Ferrari arrivasse di punto in bianco un manager inglese: per gli italiani sarebbe quasi un sacrilegio. Figurarsi per i francesi uno straniero alla guida della Vuitton.

Aver infranto questo tabù si è però rivelata per Arnault una scelta azzeccata. Brozzetti, approdato nella maison francese come direttore generale alla fine del ’99, si è subito rimboccato le maniche. E da quando, a giugno dello scorso anno, ha indossato il cappello di Pdg, vale a dire di presidente-direttore generale della Vuitton, ha fatto appello a tutte le sue virtù di mediatore. In sei mesi ha compiuto per due volte il giro del mondo, viaggiando in lungo e in largo per farsi conoscere dai manager e dagli oltre settemila dipendenti della sua società. Un lavoro da orafo, coronato dal successo. Perché per Brozzetti il periodo alla guida della storica casa francese è stato particolarmente positivo. Lunedì scorso il gruppo Lvmh ha festeggiato l’annata 2000 con un fatturato salito alla cifra record di 11,6 miliardi di euro, il 35% in più rispetto al ’99. Ma Brozzetti ha fatto ancora meglio, correndo più velocemente e chiudendo l’anno addirittura con un +37 per cento.

Raggiunti questi obiettivi, il manager italiano è ora pronto a intraprendere strade più ambiziose: le idee non gli mancano e la collaborazione con Arnault potrebbe assumere forme nuove, anche attraverso iniziative imprenditoriali che vedrebbero il manager non più nel ruolo di dipendente ma di socio.

Già, ma i clienti che in tutto il mondo hanno fatto la fila e sono in lista d’attesa per acquistare i nuovi articoli della maison, dal Monogram Vernis all’Epi pastel? E le richieste record dell’ultimo trimestre che hanno addirittura messo in difficoltà la Vuitton perché hanno superato la sua capacità produttiva? .

Per Brozzetti è stato l’ennesimo battesimo del fuoco. Nella Francia dei sindacati forti, il manager italiano ha dovuto sfoderare ancora una volta le sue qualità di mediatore e costruire con le rappresentanze dei lavoratori una serie di accordi per strappare ore preziose di straordinari. I sindacati gli hanno dato fiducia, anche perché nei programmi aziendali è prevista l’apertura di tre nuove fabbriche nel 2002.

Il rapporto diretto che Brozzetti ha instaurato con Bernard Arnault e con il responsabile della divisione Fashion group, Yves Carcelle, di cui Vuitton fa parte, gli consentono di manovrare con velocità le tre leve che in questo momento gli stanno più a cuore: espansione geografica del marchio, ampliamento dei negozi in tutto il mondo ed estensione della gamma dei prodotti venduti.

Programmi ambiziosi, ma che puntano a rafforzare la presenza della maison francese come marca globale, obiettivo al quale Brozzetti ha lavorato da quando ha messo piede in Vuitton, pronto adesso per nuove esperienze. Del resto, il manager italiano non è un novellino nel settore del beni di lusso. Prima di approdare in Francia, Brozzetti è infatti passato attraverso due marchi importanti del “made in Italy”: Gucci e Bulgari, gestendo anche iniziative di start up e acquisendo un know how che potrebbe essere messo nuovamente a frutto nell’immediato futuro. Ma le sue origini sono altrove e risiedono nel largo consumo, nel tempio del marketing moderno, ovvero la Procter & Gamble. É proprio la multinazionale americana, infatti, il primo posto di lavoro del pdg di Vuitton, dopo la laurea.

Nel 1979 Brozzetti conquista il suo diploma in Giurisprudenza all’Università di Perugia, dove ha avuto professori di rango, da Giuliano Vassalli a Giuliano Amato. L’obiettivo è diventare avvocato o notaio. Ma la passione del marketing lo ha già contagiato da quando, appena liceale, ha svolto le sue prime esperienze di lavoro nel settore marketing di due aziende legate alle attività sportive, la Ellesse e la Lafont: , racconta oggi. Fatto sta che tra la pratica legale e il marketing, Brozzetti sceglie quest’ultimo e si fa assumere nel 1980 alla Procter & Gamble. Si trasferisce a Roma nel gennaio di quell’anno e vi lavora fino a diventare vice marketing manager: per i primi tre anni sul caffè Splendid, poi sui pannolini Pampers. É qui che conosce Toni Belloni, attuale numero uno europeo della Procter: ne nasce un’amicizia che dura ancora oggi e si rinnova di tanto in tanto sui campi da sci.

Ma la P&G finisce ben presto per stargli stretta. E nel 1985 Brozzetti compie il primo turnaround professionale trasferendosi in Piazza Duomo a Milano, sede della McKinsey. Qui si occupa di industria pesante e realizza il progetto di ristrutturazione delle Acciaierie Terni.

La permanenza in McKinsey, però, si interrompe l’anno seguente, quando Brozzetti, assieme ad altri partner della società di consulenza, si trasferisce in Gucci, chiamato da Maurizio e da Giorgio (ancora alleati) per cercare di traghettare l’azienda da una dimensione familiare a una più industriale. Lavora come direttore marketing e vendite, ma l’esperienza dura poco: i contrasti tra i due cugini rendono ben presto irrealizzabile il progetto che lo ha spinto a trasferirsi a Firenze. Così il manager Perugino torna a Roma, chiamato dall’amministratore delegato del gruppo Bulgari, Francesco Trapani, come direttore esecutivo della divisione gioielli e orologi.

Non è più soltanto un manager del marketing: nella sua nuova veste Brozzetti porta un bagaglio di conoscenze nuove. .

E così accade. In Bulgari, Brozzetti rimane per ben 13 anni (), consolidando un rapporto di amicizia e di stima con Francesco Trapani. Nel ’93, infatti, proprio Trapani gli affida lo start up della nuova divisione Fragranze, di cui diventa vicepresidente. Si tratta di creare dal nulla il business dei profumi, e per farlo Brozzetti si trasferisce nel suo nuovo ufficio di Neuchatel, in Svizzera. Nel frattempo si sposa con Livia e ha due figli, Federica (7 anni) e Amedeo (5 e mezzo).

Nella cittadina elvetica trascorrono sette anni, fino all’ennesima novità professionale. Questa volta non è un cambio di rotta: il manager italiano sale sulla corazzata più ambita del settore del lusso. Nel novembre ’99 arriva a Parigi in Louis Vuitton, come direttore generale, accettando finalmente la proposta di lavoro che il gruppo Lvmh gli aveva rinnovato più volte. É il primo italiano a salire sul gradino più alto del tempio del lusso francese. Il suo ingresso coincide con la creazione della nuova divisione Fashion group affidata a Yves Carcelle, per oltre 10 anni alla guida di Vuitton.

Il resto è storia recente, con la nomina, lo scorso giugno, a presidente-direttore generale, una promozione avvenuta più velocemente di quanto si prevedesse.

In questa sua veste, dopo il botto di fine anno, Brozzetti deve seguire le perturbazioni che si agitano sull’economia mondiale: finora lo yen e il dollaro forte hanno favorito le vendite, oggi rischia di non essere più così. E il manager perugino si prepara a sfoderare nuovamente la sua arte da “orafo”: .

In questo, la scuola di Procter & Gamble continua a essergli utile. Ma forse Brozzetti porta nel sangue la predisposizione a lavorare in aziende dal marchio prestigioso. Suo nonno era stato direttore artistico della Poligrafica Buitoni-Perugina, una fucina di prodotti che hanno fatto la storia d’Italia. Certo, dai cioccolatini ai beni di lusso la strada non è breve. Ma tre generazioni possono bastare. In attesa, naturalmente, di una nuova sfida. Quando? Molto presto.

Angelo Mincuzzi

IL SOLE 24 ORE

L’italiana che consiglia Bernard Arnault

Da Foggia a Parigi la carriera di Concetta Carestia Lanciaux, la top manager pugliese vicepresidente esecutivo del gruppo Lvmh

26 FEBBRAIO 2001

Parigi, avenue Montaigne, a due passi dagli Champs Elysées. La “campagna d’Italia” del gruppo Lvmh parte da qui, da un piccolo ufficio che si affaccia su questa strada piena di lussuose griffe dell’alta moda. Al settimo piano del numero 54 c’è il quartier generale di Concetta Carestia Lanciaux, dal 1985 uno dei consiglieri più fidati di Bernard Arnault, patron del primo gruppo mondiale di prodotti di lusso. Tutti gli “abitanti” di quel piccolo palazzo al centro di Parigi sanno chi è Madame Lanciaux. E sanno che, forse, la fortuna imprenditoriale di Arnault oggi non sarebbe la stessa se un giorno di 16 anni fa il caso non avesse deciso di farli incontrare.

Concetta Lanciaux, non ama le luci della ribalta, non concede interviste, preferisce non apparire, eppure è uno dei manager più potenti della Lvmh. É consigliere personale di Arnault, vicepresidente esecutivo per le risorse umane del gruppo che controlla marchi prestigiosi come Louis Vuitton, Moet & Chandon, Christian Dior, è l’unica donna nel Comitato esecutivo, l’organismo che riunisce i 14 top manager più importanti e che decide le strategie della holding del lusso, e ha la responsabilità del mercato italiano. É stata lei a scegliere e a collocare ai vertici delle società controllate decine di presidenti e direttori generali che hanno fatto di Lvmh un gruppo da oltre 11 miliardi di euro di fatturato e con 40mila dipendenti.

A dispetto del nome e del suo francese perfetto, Concetta Lanciaux è italiana. Forse l’unica al mondo ad aver scalato i vertici di una multinazionale arrivando così in alto. Anzi, ha fatto di più: quel colosso ha contribuito a edificarlo anche lei.

La strada che ha portato Concetta Lanciaux alla vicepresidenza di Lvmh inizia in Puglia, a Foggia, città natale della top manager. Qui Concetta Carestia trascorre gli anni della giovinezza, fino all’università, in una famiglia numerosa: padre ufficiale dell’esercito, madre casalinga e altri quattro fratelli. Sono anni importanti, nel corso dei quali matura la sua visione internazionale.

E infatti nel 1967 Concetta Carestia vince una borsa di studio per frequentare l’Università Cattolica di Milano. Fa le valigie e si trasferisce nel capoluogo lombardo. Sono gli anni di Umberto Eco e la città vive un periodo di grande apertura culturale. In università, a frequentare i corsi, c’è anche Romano Prodi. Da Foggia a Milano il passo non è breve, ma Concetta Carestia è già una donna determinata. Con i soldi raccolti dando lezioni private, d’estate vola Londra a imparare l’inglese. Dice così ai suoi genitori anche un certo Natale, quando invece di un biglietto per l’Inghilterra ne acquista uno per New York. É il viaggio che cambierà la sua vita..

Così, dopo la laurea con una tesi sul cinema di Sergej Ejzenstejn, tiene fede alla promessa e si iscrive alla Carnegie Mellon dove consegue un PhD in scienze sociali. A Pittsburgh resta quattro anni fino a raggiungere il livello di professore associato, ma l’università comincia a starle stretta. Frequenta così un master in business admnistration.

Nel 1978, dopo il master, Concetta Carestia (che nel frattempo si era sposata, aveva avuto un figlio e aveva divorziato) viene assunta alla Texas Instruments, che la invia in Europa, a Nizza. Una permanenza breve, solo 18 mesi, perché Andy Grove la chiama alla Intel: bisogna riorganizzare la struttura europea, che ha il suo quartier generale in Francia, e serve un nuovo direttore sviluppo e organizzazione. Di quella esperienza, Concetta Lanciaux parla con entusiamoe. In cinque anni Concetta Carestia (che nell’80 ha sposato un francese, oggi direttore dei sistemi informativi del gruppo assicurativo Gan) trasforma una divisione improduttiva in un gioiello. L’operazione diventa un caso da manuale e la manager italiana viene chiamata a partecipare a congressi e convegni per esporre la case history.

E il destino ci mette lo zampino. Il futuro re del lusso non ha ancora 36 anni ma in testa ha un’idea precisa. E questa visione convince Concetta Lanciaux.

In realtà Arnault ha fatto bene i suoi conti: il gruppo appena acquisito (che cambierà nome in Financiére Agache) ha in portafoglio un marchio prestigioso come Christian Dior, primo tassello del futuro polo del lusso. Arnault, Concetta Lanciaux e il direttore finanziario della Financiére Agache danno vita al piccolo nucleo che pianifica l’espansione tra i marchi più famosi di Francia. Sono gli anni della ristrutturazione del gruppo, che contava allora 8mila manager: le società non strategiche vengono dismesse e nel 1989 Arnault conquista la Louis Vuitton.

Sembra impossibile da credere, ma in quegli anni il modello al quale Arnault e i suoi manager si ispirano è quello della Procter & Gamble, multinazionale che controlla importanti marchi del largo consumo. E proprio dalla Procter Concetta Lanciaux attinge alcuni dei migliori manager attualmente alla guida delle società del gruppo (). Da allora, Concetta Lanciaux ha tessuto la sua tela scegliendo accuratamente i manager che ha poi collocato nelle posizioni strategiche delle griffe controllate dalla holding.

Per questo Concetta Lanciaux ha stretto una partnership con la London Business School e a Londra ha creato una corporate university che ha chiamato “Casa Lvmh”, dove i 500 top executive del gruppo si incontrano periodicamente per discutere di leadership, strategie e nuove tecnologie.

Una strategia che assegna un ruolo importante anche all’Italia e non solo perché la vicepresidente di Lvmh ha chiamato alcuni manager italiani a ricoprire cariche importanti. Concetta Lanciaux sta allacciando rapporti sempre più stretti con l’università dove si è laureata, la Cattolica di Milano, e ha un sogno: riunire e coordinare le più importanti scuole di moda e design per creare un grande polo che assicuri al primo gruppo mondiale del lusso i migliori talenti. Italiani come lei.

Angelo Mincuzzi

IL SOLE 24 ORE

L’italiano con un futuro a Cincinnati

Da Gallarate a Ginevra, la carriera di Toni Belloni, presidente europeo della multinazionale del largo consumo Procter & Gamble

5 GENNAIO 2001

Di lui dicono che in tasca conservi già il biglietto d’aereo per Cincinnati. Destinazione: quartier generale della Procter & Gamble, primo italiano a insediarsi ai piani alti della multinazionale americana del largo consumo. Anche se nessuno lo ammette a voce alta, gli sguardi e i sorrisi fanno capire che questa è la speranza segreta delle centinaia di italiani che lavorano alla P&G. Tutti fanno il tifo per Toni Belloni, 46 anni, varesotto di Gallarate, dal gennaio ’99 numero uno europeo del gruppo americano dopo 20 anni di carriera tra i marchi storici della Procter: detersivi (Dash), pannolini (Pampers), assorbenti (Tampax), candeggine (Ace), patatine (Pringles) e fazzoletti (Tempo).

Dalla sede di Ginevra, Belloni domina il grande mercato europeo, secondo per la P&G soltanto a quello statunitense, in continuo contatto con i general manager nelle capitali del vecchio continente. Non è un compito facile: la riorganizzazione voluta e attuata dall’ex presidente mondiale Durk Jager non è stata del tutto digerita dall’imponente struttura della multinazionale, famosa per aver dato il nome alle soap opera.

Gli effetti negativi si sono sentiti sugli utili, scesi dai 3,8 milioni di dollari del 1999 ai 3,5 del 2000, e sulle azioni, protagoniste lo scorso marzo di uno storico capitombolo che ne fece precipitare le quotazioni da 90 a 60 dollari in un solo giorno. Ma tutto questo è acqua passata, e oggi sotto la guida della coppia Alan Lafley, presidente e Ceo di P&G, e John Pepper, chairman del consiglio di amministrazione e vecchio leone della multinazionale di Cincinnati, il gruppo sta risollevando la testa.

Sono i giorni della rivincita della old economy sulla new economy e il momento, anche per Belloni, è dei più propizi. É il manager italiano che è salito ai gradini più alti della Procter & Gamble. Come presidente europeo, dunque, può permettersi di guardare avanti e di correggere gli effetti negativi della riorganizzazione dell’epoca Jager, sfociata nella divisione tra Global business unit, strutture trasversali che raggruppano le attività per categorie di prodotto, e Market development organizations, cioè le filiali nazionali.

Il che, tradotto in parole semplici, significa coordinare strutture che tendono ad andare per la loro strada, o comunque a parlarsi meno di quanto è necessario. Se riuscirà a far girare la macchina a pieni giri, Belloni potrà finalmente spendere il suo biglietto per Cincinnati.

Il manager italiano, però, questo non lo dice.

Comunicativo, sorridente, un viso alla George Clooney, Belloni è il prototipo del manager di successo. Vive sulle colline che guardano il lago di Ginevra, viaggia in Aston Martin, ama le Harley Davidson e lo sci. Roba da far invidia. Eppure in Procter & Gamble è venerato come un Dio. I suoi collaboratori gli riconoscono grande capacità di lavoro e una volontà di ferro, e narrano delle fredde domeniche d’inverno trascorse nella sua vecchia casa di Bruxelles a sorseggiare thè caldo. Una casa aperta a chiunque, manager e stagisti, vecchi amici e neoassunti, tutti a darsi rigorosamente del “tu”, senza steccati o differenze gerarchiche.

Un carattere, questo, che gli deriva dall’infanzia. La sua è una famiglia di industriali e commercianti di Gallarate, che gli instilla nel sangue i valori della meritocrazia.

A 16 anni, nel 1970, il futuro presidente europeo della P&G, vola con 60 dollari negli Stati Uniti. Un’esperienza, la definisce oggi, straordinaria, . Terminate le scuole, Belloni va a Pavia, dove studia economia e si laurea a pieni voti, con 110 e lode.

È in questo periodo che Belloni ha il primo contatto con Procter & Gamble.

Il 16 ottobre 1978 Belloni fa il suo debutto nella multinazionale americana. É l’inizio della sua carriera. Viene subito nominato brand assistant per Caffè Splendid. In questa posizione apprende i fondamentali del mestiere – marketing, comunicazione, produzione – e lo fa con un maestro d’eccezione: Roberto Dorigo, oggi amministratore delegato della Ferrero. Per sei anni. Poi passa “sulla strada” a lanciare sul mercato i pannolini Pampers. Tempo sei mesi e Belloni cambia ancora: va a seguire il detersivo Ariel prima come assistente senior, poi come brand manager. E nell’82 passa a Dash, in un momento di difficoltà per il marchio.

Nel 1984 Belloni viene promosso vicedirettore marketing per il settore dei detersivi e lavora nel team internazionale dei brand manager. È in questo momento che scatta la molla dell’esperienza americana. L’azienda lo asseconda e lo spedisce a Cincinnati: è il 1985 e nella cittadina dell’Ohio al confine con il Kentucky, Belloni fa conoscenze importanti.

L’esperienza americana nella divisione “saponi e detergenti”, il settore portante dell’azienda – oltre a metterlo in contatto con i due numeri uno attuali – è in realtà una grande palestra professionale per il manager italiano.

Nel 1987 Belloni torna in Italia con un bagaglio di conoscenze e di esperienze che lo portano a ricoprire la direzione marketing. Per la prima volta esce dalla pura gestione di prodotti e si trova ad avere a che fare con una gestione di portafoglio. Ma anche questa esperienza non è che una tappa. Due anni dopo, infatti, fa le valigie e vola in Grecia: è stato nominato country manager, ha la responsabilità di un intero Paese, di un fatturato di 110 miliardi di lire e di 120 dipendenti. Un periodo difficile, scandito dalla Guerra del Golfo e da un attentato al suo ufficio.

Ma supera brillantemente l’esame e nel dicembre ’91 torna in Italia per assumere la guida dell’intera struttura. In attesa di trovare casa è ospite di un suo amico: Francesco Trapani, oggi amministratore delegato di Bulgari.

Fino al ’95 Belloni svolge la funzione di country manager a tempo pieno, poi viene nominato anche vicepresidente europeo del settore delle candeggine. E nel luglio ’97 è costretto a fare nuovamente le valigie, questa volta accompagnato dalla moglie che aveva sposato a 39 anni nel ’93. La destinazione è Bruxelles, dove Belloni assume la vicepresidenza dei prodotti “home care”, fino alla consacrazione definitiva a presidente dell’intera struttura europea nel gennaio ’99 e al trasferimento a Ginevra assieme nel moderno head quarter del vecchio continente.

Qui può dedicarsi alle strategie e pensare a una Procter & Gamble che non venda solo prodotti, ma anche servizi facendo tesoro del suo enorme know-how in fatto di brand. E in attesa della prossima tappa – che gli italiani (e forse non solo) di Procter sperano sia d’eccezione – di una cosa questo manager che parla come un Ceo si dice contento.

Angelo Mincuzzi

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