Tanzi, Craxi, Casaroli e quel vertice segreto per il Concordato tra Italia e Vaticano

Calisto Tanzi, fondatore della Parmalat, è morto il 1° gennaio 2022 all’età di 83 anni, quasi vent’anni dopo la bancarotta del gruppo che aveva fondato. Di Tanzi e dei suoi rapporti politici e finanziari abbiamo parlato nel libro “Opus Dei, il segreto dei soldi” (Feltrinelli), scritto con Giuseppe Oddo e pubblicato nell’ottobre 2011. Il libro è un’inchiesta sulla vita e la morte del finanziere dell’Opus Dei, Gianmario Roveraro, protagonista per decenni della finanza italiana, ucciso e fatto pezzi nell’estate 2006. Con Giuseppe Oddo mi sono occupato del crack della Parmalat tra la fine del 2003 e l’inizio del 2004 a Parma, durante le prime indagini giudiziarie su Tanzi e la sua società. Ecco lo stralcio del libro in cui raccontiamo dei rapporti tra Tanzi e Roveraro.

Calisto Tanzi frequenta le alte sfere vaticane. Ha rapporti con cardinali e vescovi come Casaroli e Marcinkus ai quali capita di viaggiare a bordo del suo jet. In vista della riscrittura dei Patti concordatari organizza nella sua villa un incontro riservato tra il presidente del Consiglio Bettino Craxi e lo stesso monsignor Casaroli. Non appartiene all’Opus Dei, ma come Ruiz-Mateos (fondatore del gruppo spagnolo Rumasa, ndr) è un cattolico fervente che va a messa e si comunica un giorno sì e uno no e fa opere di bene. La storia della Parmalat, riscritta dai magistrati con le inchieste di questi anni, ha qualche similitudine con quella della Rumasa.

La Parmalat è ben lontana dalle dimensioni e dal peso politico della Rumasa, ma è una multinazionale che opera in tutti i continenti. E quando Tanzi deve quotare in Borsa il gruppo è la Akros di Roveraro a formare il consorzio di garanzia e di colloca – mento. Roveraro non è un banchiere del calibro di Valls-Taberner (banchiere spagnolo numerario dell’Opus Dei ed ex presidente del Banco Popular, ndr), ma è comunque un brillante finanziere e come Valls-Taberner è un noto esponente dell’Opus Dei. È un fatto che, senza l’intervento della Akros, l’operazione di quotazione indiretta della Parmalat non sarebbe potuta avvenire.

Nel 1989 l’azienda è molto indebitata, soprattutto per l’esposizione della controllata Odeon tv, il circuito televisivo costituito e finanziato dalla Parmalat su pressione della sinistra Dc per cercare di contenere l’avanzata della Fininvest. Il gruppo di Collecchio ha i conti in pessimo stato. Dopo averli spulciati per bene, il consiglio d’amministrazione della Arca Merchant ha rinunciato a un aumento di capitale per acquisirne il 10-15 per cento. Riferisce chi era al vertice della società controllata dalle banche popolari: “I responsabili della Arca trovarono una situazione contabile e amministrativa pericolosamente confusa, preoccupante. Parmalat mancava dei requisiti per andare in Borsa”.

Ha un piano di quotazione anche la Morgan Stanley, che accantona perché ritiene elevati i valori della perizia Guatri, la valutazione effettuata dall’ex rettore della Bocconi Luigi Guatri, che sarà presa come riferimento di ogni stima successiva della Parmalat.

È a questo punto che entra in scena Roveraro. Anche se la quotazione è già stata deliberata e strutturata prima dell’arrivo della Akros, egli persegue un duplice obiettivo: collocare le azioni della società a un prezzo in linea con la perizia Guatri, per raccogliere il capitale necessario ad abbattere il debito, e chiudere il collocamento mentre i mercati sono in allarme per l’invasione irachena del Kuwait, che sfocerà nella Prima guerra del Golfo.

Tanzi per sbarcare a Piazza Affari non può sottostare all’iter procedurale della Consob, che potrebbe richiedere fino a due anni. Per andarci subito deve ricorrere a un’operazione di quotazione indiretta: rilevare una società-veicolo già quotata, per poi fonderla con la Parmalat.

Si presta allo scopo la Finanziaria centro nord (Fcn), una scatola vuota controllata da Giuseppe Gennari, un uomo d’affari fiorentino di origine sarda. Gennari è pieno di debiti, proprio come Tanzi, e ha urgenza di abbattere l’esposizione della Fcn verso il Monte dei Paschi di Siena, che l’ha finanziato, fatto crescere e ora gli chiede il rientro del credito. I due agiscono in simbiosi. Da un lato Tanzi acquista una quota della Fcn e d’accordo con Gennari delibera un aumento di capitale da 533 miliardi di lire che sottoscrive apportandovi il 35 per cento della Parmalat valutato 283 miliardi; dall’altro la Fcn utilizza i 300 miliardi raccolti sul mercato per rilevare dalla famiglia Tanzi un altro 40 per cento della Parmalat e cambiare denominazione in Parmalat finanziaria.

Secondo Piero Manaresi, consulente dei magistrati di Parma, 155 miliardi di lire finiscono, al termine dell’aumento di capitale, nelle casse della holding dell’uomo d’affari toscano, la Fidifin.

Roveraro spiega ai magistrati che, quando la Akros accetta di costituire il consorzio di collocamento, Tanzi detiene “già una larga partecipazione di maggioranza in Finanziaria centro nord”. Sta di fatto che il suo intervento e il suo carisma di banchiere d’affari si rivelano determinanti per la riuscita dell’operazione.

Scrive il finanziere, in una memoria depositata alla procura di Parma, che la Akros porta in Borsa la futura Parmalat finanziaria (dopo averne scorporato la Odeon tv) solo sulla scorta di analisi economico-finanziarie e ne acquista per 50 miliardi di lire il 5 per cento del capitale perché crede nella bontà dell’operazione e nella possibilità di una rivalutazione del titolo. L’opinione prevalente, ma mai provata, è invece che Roveraro scenda in campo non solo e non tanto come operatore del mercato, ma anche e principalmente su richiesta della Prelatura (dell’Opus Dei, ndr), con l’ordine impartito dall’alto di salvare un imprenditore cattolico in cattive acque.

Chi crea il collegamento tra Tanzi e la Akros? A presentare il fondatore della Parmalat a Roveraro, nella primavera 1990, è l’attuale presidente dello Ior, Gotti Tedeschi (oggi ex presidente Ior, ndr), all’epoca dei fatti numero due della banca d’affari milanese; a fare a sua volta da tramite tra Gotti Tedeschi e l’imprenditore di Collecchio è Mario Mutti, espressamente incaricato da Tanzi di sondare la disponibilità della Akros di farsi carico della quotazione.

Laureato a Stanford e passato per la Dow Chemical, Mutti è stato esponente della disciolta Gladio, la struttura paramilitare clandestina costituita dalla Nato e utilizzata a fini politici per osteggiare l’avanzata del Partito comunista italiano. Durante una perquisizione a casa sua e nel suo ufficio gli investigatori gli requisiscono documenti d’impronta massonica, ma lui smentisce ogni affiliazione alle logge.

A metà degli anni Ottanta è nella Federconsorzi, direttore generale prima della Polenghi Lombardo e poi della Fedital, la holding che detiene il marchio Polenghi e ha allo studio un’alleanza con la Parmalat. Nello stesso periodo siede con Gennari nel consiglio d’amministrazione della Finanziaria centro nord. E nel 1988 lascia la Federconsorzi per entrare nel gruppo Berlusconi e assumere fino al 1992 l’incarico di amministratore delegato della Standa e vicepresidente delle attività estere della Fininvest.

A portare Tanzi alla Akros, dunque, è Mutti proprio nel periodo in cui lavora per Berlusconi, ed è con Roveraro e Gotti Tedeschi che il manager della Standa si ritrova a quotazione avvenuta nel consiglio d’amministrazione della Parmalat.

Nel 2004 sono indagati tutti e tre per concorso in bancarotta, accanto agli altri amministratori e sindaci della Parmalat. Il giudice per le udienze preliminari li proscioglie nel 2007 da possibili reati connessi alla quotazione, perché ritiene che il dissesto sia visibile solo a partire dal 1993, ma l’unico a uscirne pulito e indenne è Gotti Tedeschi.

Diversamente da lui, infatti, Roveraro e Mutti sono rimasti in carica come amministratori fino alla metà del 1998, quando i falsi in bilancio per occultare il debito sono già la norma. Nel 2006 la posizione di Roveraro è stralciata per “decesso dell’indagato”. Mutti è condannato nel 2010 a cinque anni e quattro mesi di carcere al termine del processo di primo grado. Gennari esce salvo dalla bancarotta di Collecchio, ma non da quella della Fidifin”.

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