L’onda azzurra del grafico che vedete qui in alto fa capire perché bisogna monitorare i patrimoni finanziari dei cittadini più ricchi se si vuole riequilibrare una diseguaglianza che negli ultimi anni – e ancora di più dopo la pandemia – sta scavando un solco sempre più profondo tra l’1% della popolazione più facoltosa e il restante 99%.
Il grafico è stato pubblicato sul quotidiano francese Le Monde dall’economista Thomas Piketty, autore di due libri diventati delle pietre miliari per interpretare l’evoluzione della società: “Il capitale nel XXI secolo” e “Capitale e ideologia”.
Nell’articolo su Le Monde, Piketty spiega perché è necessario istituire un catasto dei patrimoni mobiliari dei cittadini e per capirne il motivo basta guardare il grafico. Quell’onda azzurra ci dice che il patrimonio dei milionari è composto essenzialmente da attivi finanziari (azioni e obbligazioni) mentre per le classi medie è soprattutto immobiliare e per quelle più basse è fatto da liquidità e depositi bancari. I dati si riferiscono nel caso specifico alla Francia ma potrebbero valere per tutti i paesi più ricchi.
“Prima dell’estate – scrive Piketty -, il sito ProPublica aveva rivelato che i miliardari statunitensi non pagavano quasi tasse rispetto a quanto paga il resto della popolazione. Secondo Challenges, le prime 500 fortune francesi sono aumentate da 210 miliardi di euro nel 2010 a più di 730 miliardi nel 2020, e tutto fa pensare che le tasse pagate da queste grandi fortune (informazione tutto sommato abbastanza semplice ma che le autorità ancora rifiutano di pubblicare) sono state estremamente basse. Dovremmo solo aspettare le prossime fughe di notizie, o non è ora che i media e i cittadini facciano pressione sui governi per risolvere la questione in modo sistematico?”.
Il problema di fondo – sostiene l’economista francese – è che, all’inizio del XXI secolo, si continua a registrare e tassare i beni sulla sola base dei beni immobili, utilizzando i catasti realizzati all’inizio del XIX secolo. Se non ci diamo i mezzi per cambiare questo stato di cose, allora gli scandali continueranno, con il rischio di una lenta disgregazione del nostro patto sociale e fiscale.
Il possesso di un patrimonio – è il ragionamento di Piketty – è un indicatore della capacità contributiva delle persone, il che spiega perché la tassazione del patrimonio ha sempre avuto un ruolo centrale nei moderni sistemi fiscali, oltre alla tassazione che grava sul flusso del reddito (flusso che a volte può essere manipolato al ribasso, in particolare per asset molto elevati, come ha dimostrato ProPublica).
“Istituendo un catasto centralizzato per tutti i beni immobili, sia abitativi che professionali (terreni agricoli, negozi, fabbriche, ecc.), la Rivoluzione francese istituì nello stesso tempo un sistema fiscale basato sulle transazioni (diritti di trasferimento ancora in vigore oggi) e soprattutto sulla proprietà (con imposta fondiaria) – sottolinea Piketty -. In Francia come negli Stati Uniti e in quasi tutti i paesi ricchi, l’imposta sulla proprietà continua a rappresentare la principale imposta sul patrimonio. Al contrario, l’assenza di un tale sistema di registrazione e tassazione dei terreni e dei beni professionali spiega in molti paesi del Mezzogiorno l’ipertrofia del settore informale e le conseguenti difficoltà nell’attuazione della tassazione dei redditi”.
Il problema è che questo sistema di registrazione e tassazione dei beni è rimasto pressoché invariato da due secoli, anche se le attività finanziarie hanno assunto un’importanza preponderante. Il risultato è un sistema estremamente ingiusto e diseguale. Se possiedi una casa o un immobile professionale del valore di 300.000 euro e sei indebitato fino a 290.000 euro, pagherai la stessa tassa di proprietà di una persona che ha ereditato la stessa proprietà e possiede inoltre un portafoglio finanziario di 3 milioni di euro .
Nessun principio, nessun ragionamento economico può giustificare un sistema fiscale così violentemente regressivo (i piccoli ceti pagano di fatto un’aliquota effettiva strutturalmente superiore a quella più alta), accusa Piketty.
In molti affermano che sarebbe impossibile registrare i patrimoni finanziari. Secondo Piketty, però, non si tratta di un’impossibilità tecnica ma di una scelta politica: abbiamo scelto di privatizzare la registrazione dei titoli finanziari (presso depositari centrali di diritto privato, come Clearstream o Eurostream) e poi di istituire la libera circolazione dei capitali garantita dagli Stati, senza alcun coordinamento fiscale preventivo.
I “Pandora Papers” ci ricordano anche che i più ricchi riescono a eludere le tasse sui loro beni trasformandoli in titoli finanziari domiciliati offshore, come dimostrato dal caso dei coniugi Blair e della loro casa londinese da 7 milioni di euro (400.000 euro di tasse di trasferimento evitate ) o quello delle ville possedute in Costa Azzurra tramite società di facciata dal primo ministro ceco Babis.
Cosa fare allora? La priorità dovrebbe essere l’istituzione di un registro finanziario pubblico dei patrimoni finanziari e la tassazione minima di tutti i beni, anche solo per produrre informazioni oggettive su di essi. Ogni Paese può muoversi immediatamente in questa direzione, richiedendo a tutte le società che detengono o gestiscono immobili nel suo territorio di rivelare l’identità dei loro titolari e tassandoli di conseguenza, in modo trasparente e alla stregua dei normali contribuenti, né più né meno. Rinunciando a qualsiasi ambizione in termini di sovranità fiscale e giustizia sociale, conclude Piketty, si incoraggia solo il separatismo dei più ricchi e il ripiegamento su se stessi.
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