Fisco, Facebook chiude tre holding irlandesi. Trema il governo di Dublino

Facebook ha deciso di chiudere tre delle cinque holding irlandesi utilizzate dal 2010 per pagare meno tasse in tutto il mondo. E il governo di Dublino trema per il timore che anche le altre grandi corporation del web seguano l’esempio del social network fondato da Mark Zuckerberg.

Facebook ha messo in liquidazione la Facebook Ireland Holdings Unlimited Company, la Facebook International Holdings I e la Facebook International Holdings II. La decisione è stata presa il 25 settembre ma soltanto il 1° dicembre 2020 le tre holding hanno registrato la procedura di liquidazione presso il registro delle società irlandese.

Le tre holding dal 2010 attraggono un enorme fiume di denaro in Irlanda. Solo la Facebook International Holdings I ha registrato entrate per 30 miliardi di dollari nel 2018, più della metà del fatturato globale totale di Facebook, che quell’anno era di 56 miliardi di dollari. Questo perché le filiali di Facebook distribuite in tutto il mondo hanno pagato i diritti per l’utilizzo della proprietà intellettuale, cioè principalmente lo sfruttamento del marchio e delle licenze software, non alla casa madre americana ma alle società irlandesi. Un meccanismo creato dieci anni fa per ridurre il carico fiscale del gruppo di Menlo Park.

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Ma adesso il social network di Zuckerberg sta affrontando un processo in tribunale contro il Fisco americano – che chiede indietro 9 miliardi di dollari – e ha deciso di trasferire la proprietà intellettuale dall’Irlanda agli Stati Uniti. Le tre holding di Dublino diventano, così, superflue.

Trema il governo di Dublino

La decisione di Facebook solleva però in Irlanda molti interrogativi. E fa temere che il sistema economico costruito sull’arrivo delle multinazionali estere possa subire un colpo durissimo, con un calo anche delle entrate tributarie. Facebook impiega circa 5.000 persone in Irlanda, tra dipendenti e lavoratori a contratto. Ma politici ed economisti guardano oltre il caso-Facebook.

Le entrate fiscali derivanti dalle imposte sulle società in Irlanda sono state del 17,5% in più rispetto alle previsioni del governo (ferme a 10,7 miliardi di euro) nei primi 11 mesi di quest’anno, anche se l’economia nazionale ha subito una forte contrazione a causa del Covid-19.

Una notizia positiva, ma il problema è proprio questo. Le entrate fiscali sono troppo concentrate tra un ristretto gruppo di grandi corporation. In un rapporto pubblicato all’inizio di gennaio, l’Irish Fiscal Advisory Council (Ifac) ha sottolineato che circa il 43% di tutte le entrate fiscali nel 2019 provenivano da 10 grandi corporation e che il 77% delle entrate totali arrivavano da multinazionali di proprietà straniera.

Un’ampia quota del gettito d’imposta sulle società in Irlanda è dunque pagata da un numero relativamente esiguo di società.

Secondo l’Ifac, nel 2018 le entrate delle imposte sulle società ammontavano a 10,4 miliardi di euro e le prime 5 multinazionali hanno pagato 5 miliardi di euro, praticamente la metà di tutte le entrate. Questa concentrazione è molto evidente negli ultimi cinque anni per i quali sono disponibili dei dati, con le prime dieci società più grandi che contribuiscono in media per il 37-45% delle entrate da imposte sulle società. E così è stato ogni anno dal 2014. Le seguenti 11–100 società hanno contribuito all’imposta totale sulle società per circa il 25% del totale, un percentuale superiore a quella delle ulteriori 101-55.000 aziende presenti in Irlanda.

L’Ocse e le conseguenze sull’Irlanda

L’Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico (Ocse) è pronta a raddoppiare i suoi sforzi dopo che Joe Biden diventerà ufficialmente presidente degli Stati Uniti a gennaio per convincere quasi 140 paesi a raggiungere un accordo entro la metà del 2021 sulla revisione della tassazione internazionale in un’economia globale sempre più digitalizzata. E l’Unione europea cercherà di portare avanti la proposta per una web tax, se questo sforzo dovesse fallire.

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L’Irlanda rischia di essere penalizzata dalle nuove regole, a causa della grande presenza di Investimenti diretti esteri (Ide) nel suo territorio.  L’interrogativo che aleggia su Dublino è se il paese perderà parte del suo vantaggio competitivo sugli Ide a causa delle modifiche alle regole fiscali globali.

I rischi ci sono. Il ministro delle Finanze, Paschal Donohoe, ha avvertito che lo Stato potrebbe perdere fino a 2 miliardi di euro di entrate fiscali sulle società, pari a circa il 20% dell’imposta sulle società dello scorso anno.

Il caso Facebook

La decisione di Facebook di chiudere tre holding irlandesi che detenevano la proprietà intellettuale del gruppo è stata presa dopo che il Fisco americano (Internal Revenue Service) ha portato la società in tribunale lo scorso febbraio per un contenzioso che va avanti da molti anni.

La controversia è incentrata su una serie di accordi sui prezzi di trasferimento (transfer price), tra la società madre statunitense del gigante tecnologico e il suo hub irlandese, che erano stati messi in atto prima della quotazione della società in Borsa nel 2012.

In base a questi accordi, l’hub irlandese di Facebook ha pagato le royalty alla sua società madre statunitense per l’utilizzo della proprietà intellettuale del gigante dei social media. Più basso è il valore che Facebook ha indicato per la cessione della proprietà intellettuale, meno royalties l’unità irlandese ha versato al quartier generale negli Stati Uniti. Questo meccanismo ha consentito di spostare gli utili in Irlanda, dove Facebook ha pagato tasse molto più basse rispetto al 35% che avrebbe pagato negli Usa.

L’Internal Revenue Service ha citato la società in tribunale sostenendo che doveva più di 9 miliardi di dollari legati alla sua decisione del 2010 di trasferire i suoi profitti in Irlanda. Prima della quotazione in borsa nel 2012, Facebook ha valutato i suoi beni immateriali 6,5 miliardi di dollari, ma l’Irs sostiene che il valore reale era di 21 miliardi di dollari e per questo reclama da Facebook tasse arretrate per 9 miliardi di dollari.

Dunque, le royalties pagate dalle società irlandesi alla casa madre statunitense avrebbero dovuto essere molto più alte di quelle effettivamente versate in tutti questi anni.

La principale società irlandese in liquidazione – Facebook International Holdings I Unlimited Company – ha versato tasse per 101 milioni di dollari su 15,2 miliardi di utili netti nel 2018.

Proprietà intellettuale trasferita in Usa

Facebook ha dichiarato che la holding irlandese “è stata liquidata come parte di un cambiamento che si allinea meglio con la nostra struttura operativa. In preparazione della liquidazione della società, le attività di Facebook Ireland Holdings sono state distribuite alla sua società madre statunitense”.

“Le licenze di proprietà intellettuale relative alle nostre operazioni internazionali sono state rimpatriate negli Stati Uniti – hanno proseguito i portavoce di Facebook -. Riteniamo che questo sia coerente con i recenti e imminenti cambiamenti della legislazione fiscale che i politici stanno sostenendo in tutto il mondo”.

Facebook ha affermato che la sua aliquota fiscale effettiva negli ultimi cinque anni ha superato il 20% e che è in linea con la media globale del 23%. Secondo i bilanci del gruppo, la sua aliquota fiscale effettiva è salita al 25% a dicembre 2019 dal 13% alla fine del 2018.

Anche Google negli Stati Uniti

Nel Regno Unito, lo scorso anno, Facebook ha pagato solo 28,6 milioni di sterline di tasse, anche se ha registrato 2,2 miliardi di sterline di entrate lorde dagli inserzionisti, secondo i conti depositati questo mese presso la Companies House. Il pagamento delle tasse è aumentato di sole 100.000 sterline rispetto all’anno precedente, nonostante i profitti siano cresciuti di oltre un quarto.

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Anche Google ha trasferito lo scorso gennaio le sue proprietà intellettuali dall’Irlanda agli Stati Uniti, prima della chiusura della scappatoia fiscale conosciuta come “Double Irish”, utilizzata dalle società statunitensi per convogliare i profitti internazionali attraverso l’Irlanda verso paradisi fiscali come le Bermuda, mantenendoli al di fuori degli Stati Uniti. L’Irlanda ha accettato di chiudere il programma sotto la pressione internazionale cinque anni fa, ma le aziende hanno avuto tempo fino alla fine del 2020 per adeguarsi.

angelo.mincuzzi@ilsole24ore.com

Twitter: @Angelo_Mincuzzi

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