Credit Suisse, indaga anche il Belgio per evasione fiscale. I precedenti in Italia

Adesso anche il Belgio indaga sul Credit Suisse. Al centro dell’inchiesta dei magistrati di Bruxelles confermata dal portavoce dell’ufficio del procuratore federale, ci sono i conti bancari di oltre 2.600 cittadini belgi, aperti in Svizzera tra il 2003 e il 2014. I magistrati ipotizzano per il Credit Suisse i reati di riciclaggio e di esercizio illegale della professione di intermediario finanziario. Per i clienti si indaga invece per il reato di evasione fiscale, se nel frattempo i titolari dei conti non avranno regolarizzato la loro posizione con il fisco belga.

La lista ottenuta dai francesi

La procura federale è riuscita a ottenere dalle autorita’ francesi le coordinate bancarie degli oltre 2.600 cittadini belgi che avevano un conto presso Credit Suisse tra il 2003 e il 2014. Alcuni dei conti svizzeri sarebbero stati nascosti dietro società di facciata nei paradisi fiscali, per rendere piu’ difficile il collegamento con gli effettivi titolari e non pagare l’euroritenuta entrata in vigore nella Ue nel 2005.

“Non siamo a conoscenza di un’indagine contro Credit Suisse in Belgio – ha pero’ sottolineato un portavoce della banca -. Il Credit Suisse applica una rigorosa politica di tolleranza zero e desidera fare affari solo con clienti che hanno pagato le tasse e dichiarato integralmente il proprio patrimonio. Rispettiamo rigorosamente tutte le leggi, i regolamenti e le linee guida che si applicano nei mercati in cui operiamo.

L’inchiesta su Hsbc

L’indagine sul Credit Suisse segue quella appena conclusa su Hsbc. L’estate scorsa si è saputo che la banca britannica aveva pagato quasi 300 milioni di euro all’ufficio del pubblico ministero di Bruxelles per porre fine all’inchiesta che ha coinvolto anche 2.450 belgi. I clienti della banca di Ginevra hanno versato a loro volta al fisco di Bruxelles 500 milioni di euro. Soldi che il governo belga ha potuto incamerare grazie alle rivelazioni di Herve’ Falciani, l’ex ingegnere informatico della Hsbc Private Bank di Ginevra che ha collaborato per anni con i magistrati belgi per ricostruire il flusso dei soldi depositati dai contribuenti belgi in Svizzera senza pagare le imposte.

La Direttiva sul risparmio

Secondo il quotidiano belga L’Echo, diversi clienti belgi del Credit Suisse hanno gia’ raccontato agli inquirenti i sistemi utilizzati dalla banca per consentire loro di evadere il fisco, come appunto la costituzione di societa’ nei paradisi fiscali alle quali i conti venivano intestati per sfuggire all’euroritenuta.

La Direttiva Europea sul Risparmio è entrata in vigore nel 2005. Il suo obiettivo era porre fine alla mancata dichiarazione di conti tenuti all’estero, ma diverse banche svizzere hanno continuato a offrire ai propri clienti soluzioni per aggirare il problema e quindi nascondere questo denaro alle autorità fiscali. Tra l’altro, registrando il proprio conto svizzero a nome di una società di comodo registrata in un paradiso fiscale. Queste società esistevano solo sulla carta, il loro indirizzo era solo una casella postale e nessuno poteva dire chi fosse il proprietario finale.

La maxi-indagine internazionale

Il Belgio non e’ pero’ l’unico paese a indagare sul Credit Suisse. Una grande operazione investigativa transnazionale e’ infatti scattata nel 2017. Al centro c’erano circa 55mila conti bancari sospetti, che avevano fatto scattare due arresti in Olanda, perquisizioni nelle sedi del Credit Suisse ad Amsterdam, Londra e Parigi, e il sequestro di lingotti d’oro, dipinti, gioielli, monete, auto di lusso e altri beni. Il secondo istituto bancario svizzero era finito centro di grande una inchiesta internazionale per evasione fiscale e riciclaggio di denaro sporco in cinque paesi: Olanda, Regno Unito, Germania, Francia e Australia.

L’indagine internazionale era partita dall’Olanda, dove erano state arrestate le due persone, dopo che le autorità avevano ricevuto una segnalazione sui circa 55mila conti sospetti nella banca svizzera. L’ufficio che si occupa delle indagini sui crimini finanziari (Fiod) aveva rivelato di stare «indagando su decine di persone, sospettate di evasione fiscale e riciclaggio». Le autorità olandesi avevano ricevuto anche ulteriori informazioni su altri 3.800 cittadini olandesi. I magistrati avevano affermato di aver raccolto prove di «conti segreti» utilizzati da individui di varie giurisdizioni per nascondere denaro nella banca svizzera.

L’inchiesta in Olanda e’ ancora aperta. Anche questa settimana il quotidiano olandese De Telegraaf ha riferito che sono in corso indagini con i nomi in codice “Monte Negro” e “Beurszwam”.

Credit Suisse già sanzionato in Usa, Germania e Italia

Il Credit Suisse è stato già sanzionato pesantemente negli anni scorsi da multe comminate a causa di varie inchieste per evasione fiscale. Nel 2014 la banca svizzera ha dovuto pagare una maximulta da 2,6 miliardi di dollari alle autorità degli Stati Uniti perché ritenuta colpevole di aver aiutato cittadini americani a evadere il fisco. Nel 2011 l’istituto aveva pagato 150 milioni di euro alla Germania.

In Italia, invece, nel 2016 Credit Suisse Ag (la casa madre con sede in Svizzera) ha staccato un assegno da 109,5 milioni di euro per chiudere il contenzioso con il Fisco italiano e con la Procura di Milano nato in seguito a una maxi inchiesta su 13mila presunti evasori fiscali clienti della banca. L’istituto ha versato 101 milioni di euro all’Agenzia delle Entrate più altri 8,5 milioni alla procura milanese.

La banca svizzera era indagata in Italia per riciclaggio in base al decreto legislativo 231 sulla responsabilità amministrativa degli enti. Sotto il faro della magistratura e degli uomini della Guardia di Finanza di Milano erano finite una serie di operazioni effettuate tra il Liechtenstein e le isole Bermuda in relazione a polizze assicurative che, secondo l’accusa, erano un escamotage studiato da funzionari della banca svizzera per consentire a clienti italiani di portare denaro oltre il confine e nasconderlo all’erario.

Le finte polizze vita

Gli investigatori della Gdf e gli uomini del Nucleo per la consulenza all’autorità giudiziaria della Banca d’Italia avevano scoperto che buona parte dei 14 miliardi depositati all’estero erano stati dirottati in polizze vita definite dagli investigatori “ di copertura”. Si trattava di circa 8 miliardi di euro investiti da quattromila italiani in polizze unit linked del Credit Suisse Life & Pension Aktiengesellschaft (Cslp). Il meccanismo utilizzato era semplice.

I gestori del Credit Suisse facevano sottoscrivere ai clienti italiani le polizze che venivano vendute attraverso due società domiciliate in Liechtenstein e alle Bermuda. Le due società poi – secondo le risultanze delle indagini – retrocedevano tutte le somme al Credit Suisse ed era la banca svizzera a occuparsi della gestione totale dei fondi.

Analizzando le migliaia di email rintracciate nei server del Credit Suisse, gli investigatori avevano scoperto che le polizze sarebbero state un sistema per far rientrare soldi non dichiarati dall’estero. Insomma, finti strumenti finanziari.

Le polizze, infatti, prevedono una serie di condizioni che il cliente deve sottoscrivere, come per esempio l’impossibilità di recedere dal contratto (e riottenere così la disponibilità dei fondi) per un certo periodo di tempo e l’impossibilità di decidere in che modo investire la somma vincolata nella polizza. Ma nel caso del Credit Suisse queste condizioni non venivano rispettate, almeno secondo quanto emerso dal materiale sequestrato. I clienti potevano interrompere la polizza senza pagare commissioni o con commissioni circa quattro volte più basse della media del mercato.

I fondi investiti nelle polizze vita, inoltre, rimanevano nella disponibilità dei clienti della banca. Le cifre immobilizzate dai singoli clienti nelle unit linked erano di solito superiori ai 5 milioni di euro. Un’altra anomalia emersa dalle indagini era che non erano previste riserve in caso di morte. Ai sottoscrittori, inoltre, venivano concessi anche degli anticipi su pegni. Questi elementi avevano fatto accendere più di un campanello d’allarme.

Il decalogo misterioso 

Un altro aspetto emerso nel corso delle indagini riguardava una sorta di manuale in 20 punti ritrovato nel materiale sequestrato. Il documento elencava gli accorgimenti che i gestori della banca dovevano osservare per evitare di destare i sospetti delle autorità fiscali e giudiziarie quando incontravano i clienti. Il “decalogo” consigliava ai banchieri in visita in Italia di non dormire nello stesso hotel per più giorni, di non portare con sé tablet e personal computer, di azzerare la rubrica del cellulare e di andare all’estero facendo finta di partecipare a eventi culturali, sportivi o turistici. Regole efficaci per mimetizzarsi e non rivelare la loro attività.

La richiesta alla Svizzera: vogliamo i nomi

Nel 2017 la Guardia di Finanza ha chiesto alle autorità fiscali della Svizzera di conoscere i beneficiari italiani titolari di 9.953 posizioni finanziare accese proprio presso il Credit Suisse. Si trattava di conti per un importo complessivo di oltre 6,6 miliardi di euro. L’iniziativa delle Fiamme Gialle rappresentava l’ultimo sviluppo dell’indagine partita nel 2014 con un’ispezione fiscale nella sede di Milano del Credit Suisse e decollata nel marzo del 2016 con l’iscrizione nel registro degli indagati della procura di Milano della casa madre del gruppo bancario, il Credit Suisse AG di Zurigo.

Al termine dell’attività di analisi svolta con l’Agenzia delle Entrate, le indagini hanno consentito di identificare, fino ad ora, i titolari di 3.297 posizioni – contenute in elenchi acquisiti nel corso delle indagini – la maggior parte dei quali già destinatari di contestazioni degli uffici finanziari conclusesi con la riscossione – anche per effetto dell’adesione alla prima procedura di voluntary disclosure – di circa 173 milioni per imposte, sanzioni e interessi.

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