Più sono ricchi, più evadono le tasse. Ecco lo studio che dimostra perché

Più sono ricchi, più evadono le tasse. L’assioma potrebbe apparire come la scoperta dell’acqua calda, eppure non lo è. Per la prima volta uno studio di tre economisti internazionali dimostra la correlazione tra la quantità di ricchezza personale posseduta e la propensione all’evasione fiscale. Il report dal titolo “Tax Evasion and Inequality” è stato pubblicato dall’American Economic Review e porta la firma di Annette Alstadsaeter, docente alla Norwegian University of Life Sciences di Oslo, Niels Johannesen, professore dell’Università di Copenhagen, e Gabriel Zucman, docente all’Università di Berkeley in California e autore del saggio “La ricchezza nascosta delle nazioni – Indagine sui paradisi fiscali” (add editore).

I tre docenti hanno passato al setaccio i dati provenienti da due grandi leaks degli ultimi anni: la “Lista Falciani” e i “Panama Papers“. A questi elementi hanno incrociato le cifre provenienti dai condoni fiscali realizzati in Scandinavia negli anni della crisi 2008-2009. Poi li hanno confrontati con i dati sugli introiti fiscali e gli indicatori di benessere di Norvegia, Svezia e Danimarca. Il focus – avvertono Alstadsaeter, Johannesen e Zucman – è concentrato su questi tre Stati ma i risultati si possono estendere a tutti gli altri paesi industrializzati. La Scandinavia è un laboratorio interessante perché i paesi che la compongono sono solitamente ai massimi livelli nelle graduatorie degli Stati con maggiore rispetto delle regole anche fiscali: questo suggerisce che la propensione a evadere le tasse da parte dei più ricchi sia molto più alta negli altri paesi.

Viva i paradisi fiscali

All’interno dei decili più ricchi della popolazione, «la probabilità di nascondere i propri asset in paradisi fiscali – scrivono i tre economisti – cresce bruscamente e significativamente con il crescere della ricchezza. La fetta dei propri patrimoni che viene nascosta (circa il 40%) invece non varia con il variare della ricchezza», sempre all’interno del top più ricco della popolazione.

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Dunque, la ricchezza nascosta nei paradisi fiscali è molto concentrata: il top 0,01% della popolazione più ricca del mondo possiede circa il 50% di questi asset. La vera ricchezza è concentrata nelle mani di pochi ultra-ricchi.

zucman

Un altro dato che emerge dalla ricerca dei tre economisti è che la pattuglia dello 0,01% più ricco della terra evade circa il 25% del proprio patrimonio imponibile nascondendo gli asset all’estero.

La maggior parte degli individui nei paesi ricchi ha poche possibilità di evadere le tasse per la semplice ragione che quasi tutti i loro introiti derivano da stipendi, pensioni e da investimenti effettuati all’interno del proprio paese. Dunque le imposte vengono versate alla fonte o vengono riportate automaticamente alle autorità fiscali.

Al contrario, l’evasione fiscale è molto più facile per i più ricchi perché la maggior parte delle loro fortune deriva da patrimoni finanziari o immobiliari ma anche grazie all’esistenza di una fiorente industria composta da professionisti e da istituzioni finanziarie il cui unico scopo è quello di aiutare i super-ricchi a nascondere le loro proprietà.

Lo studio dell’evasione fiscale della popolazione più ricca (quella che possiede più di 50 milioni di dollari di ricchezza netta), sottolineano gli autori dello studio, è importante perché sebbene si tratti di un numero ridotto di persone, possiedono la fetta più consistente della ricchezza mondiale. Un’evidenza che scaturisce anche dagli ultimi rapporti di Oxfam, un’organizzazione non governativa che combatte le diseguaglianze.

La Lista Falciani e i Panama Papers

Tra i dati più importanti utilizzati dai tre economisti ci sono quelli provenienti dalla Lista Falciani. Nel 2007 Hervé Falciani, un ingegnere informatico che lavorava alla Hsbc Private Bank di Ginevra, aiutò a prelevare i file bancari di 30.412 clienti della banca, il 90-95% dei quali avevano evaso le tasse nel proprio paese.
Altri dati importanti sono quelli provenienti dai Panama Papers, documenti trafugati dallo studio legale panamanense Mossack Fonseca e pubblicati nel 2016 grazie al Consorzio internazionale giornalisti investigativi (Icij). E infine quelli delle voluntary disclosure realizzate in Norvegia e in Svezia.

Lista Falciani, Panama Papers e condoni fiscali dipingono lo stesso panorama: le probabilità di nascondere le proprie ricchezze nei paradisi fiscali crescono con il crescere dei patrimoni. Una tendenza molto visibile, per esempio, nei documenti trafugati dalla Hsbc: i clienti della banca che rientravano tra lo 0,01% della popolazione più ricca del mondo mostravano una propensione a nascondere i propri asset 13 volte maggiore di quelli che rientravano nella parte bassa del decile che raggruppa l’1% dei più ricchi del mondo.

Il paradosso della ricchezza

Secondo i modelli econometrici attuali, scrivono i tre economisti nel rapporto, gli ultra-ricchi dovrebbero evadere di meno perché hanno molte più probabilità di essere controllati dalle autorità fiscali. Ma i risultati del nuovo studio dimostrano che non è così. E un ruolo importante nello sfatare il mito del ricco che non evade ce l’ha l’industria dell’evasione fiscale, cioé quell’insieme di banche e professionisti fiscali che mette a disposizione degli ultra-ricchi gli strumenti e gli schemi che consentono di nascondere le ricchezze nei paradisi fiscali.

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Secondo i tre economisti aumentare sproporzionalmente le sanzioni e le pene per chi evade non è la risposta più efficace. La soluzione potrebbe essere invece quella di sanzionalre duramente proprio le strutture finanziarie e i professionisti che alimentano l’industria dell’evasione fiscale.

Finora però questa strategia non è stata messa in atto. Dal 2009 circa 80 banche svizzere hanno ammesso di aver aiutato evasori fiscali statunitensi e altre 16 sono finite sotto inchiesta da parte del dipartimento della Giustizia Usa. Ma il governo americano è stato capace soltanto di far chiudere tre piccole banche (Wegelin, Neue Zuercher Bank e Bank Frey) mentre i grandi colossi come Ubs, Credit Suisse e Hsbc hanno potuto continuare a lavorare dopo aver pagato delle maxi-multe.

Il detective dei patrimoni nascosti

Gabriel Zucman, uno dei tre autori dello studio, è un vero esperto di “ricchezza nascosta” nei paradisi fiscali di tutto il mondo. Ha studiato alla Paris School of Economics, dove è stato allievo di Thomas Piketty, e insieme ad un altro economista, Emmanuel Saez, ha contribuito alle ricerche per la scrittura del libro di Piketty “Il capitale nel XXI secolo”, un saggio che è diventato una pietra miliare negli studi sulle diseguaglianze.

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Dieci anni dopo Zucman, 32 anni (nella foto qui sopra), è assistente professore all’Università di Berkeley e ha sfornato studi molto importanti per l’analisi delle diseguaglianze negli Stati Uniti e nel mondo.
Le ultime stime di Zucman e Saez mostrano che lo 0,1% più ricco dei contribuenti degli Stati Uniti – circa 170mila famiglie in un paese di 330 milioni di persone – controlla più del 20% della ricchezza americana, la percentuale più alta dal 1929. L’1% superiore controlla il 39% della ricchezza degli Stati Uniti mentre il 90% nella parte più bassa ha solo il 26%. La metà inferiore degli americani ha un patrimonio netto negativo.

Nel 1980, mentre Ronald Reagan veniva eletto presidente degli Usa, lo 0,1% più ricco del paese controllava il 7% della ricchezza della nazione. Nel 2014 quello stesso 0,1% aveva triplicato la sua quota al 22%. All’indomani della crisi finanziaria, mentre gli americani della classe media erano gravati da licenziamenti e debiti, i ricchi avevano rapidamente ripreso le loro ricchezze.
Secondo Zucman la risposta alla diseguaglianza deve essere aggressiva perché la ricchezza è auto-rinforzante. I ricchi possono sempre guadagnare di più, risparmiare di più e quindi spendere più di chiunque altro per difendere ciò che hanno.

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  • habsb |

    sig. Carl

    mi pare che lei non sappia che Cayman non è uno staterello che campa di asilo fiscale, ma è un territorio sotto giurisdizione britannica diventato una colonna portante dei servizi bancari internazionali.

    Vi transitano flussi finanziari di dimensione impensabile per chi non è del mestiere, e sono poche le imprese, anche ad azionariato statale, che non vi sono coinvolte.

    In seguito mi pare che lei confonda il problema delle disuguaglianze con quello della fiscalità. Per superare la sua confusione, rifletta sul fatto che i due paesi europei dove le disuguaglianze sono le piu’ forti (Danimarca e Svezia, wealth Gini index superiore a 80) sono anche ai primissimi posti per pressione fiscale.
    Piu’ i redditi sono tassati , piu’ diventa impossibile annullare le disuguaglianze tramite il lavoro e la creazione di ricchezza

    Infine, il “dettagliato controllo di massa” fa un po’ ridere quando si vede che le autorità fiscali, non solo in Italia fanno a gara a ridurre le tasse per attirare industrie e famiglie agiate, e preferiscono fare condoni a go go pur di incrementare il reddito imponibile nel paese.

  • carl |

    Mah…? Allo stato delle cose, salvo un assai improbbaile accordo internazionale che ponga sotto stretto, stringente (e “feroce”…:o) embargo le Cayman ed altri staterelli che campano di “asilo fiscale”, sono assai scettico sulla possibilità di porre, se non termine, almeno limiti alle diseguaglianze venutesi a creare ed in crescita (assai più in crescita della striminzita crescita del PIL e compagnia bella, auspicata in occidente).. Tuttavia temo che, a forza di porre al riparo i propri averei, redditi e rendite dagli erari degli Stati hobbesiani (insomma a tirare troppo la corda..) lo sbocco sia un dettagliato controllo di massa, magari declamato con scopi antiterrostistici, ma che di fatto lascerà in perizoma anche il famoso 0,1 , nonchè l’1% ed infine anche il resto delle popolazioni (per fare 100%…).
    Chi vivrà, vedrà ma, intanto, tutto continuera come ora.

  • Angelo Mincuzzi |

    Anche se non condivido alcune delle sue riflessioni, la ringrazio per i suoi ragionamenti sempre interessanti. E’ un punto di vista che rispetto.

  • habsb |

    Grazie per la risposta

    Puo’ darsi che il 90% dei fondi della lista Falciani fosse oggetto di frode fiscale, d’altronde non si vedrebbe altrimenti perché il Falciani sarebbe stato pagato per renderla pubblica.

    Ma il fatto che quei fondi fossero oggetto di frode fiscale non significa assolutamente che la maggioranza dei conti dei paradisi fiscali siano oggetto di frode, cosi’ come il fatto che tale o tal altro ministro si sia reso complevole di corruzione non fa di tutti gli uomini politici una banda di corrotti.

    E non significa neanche assolutamente che la frode fiscale sia solo appannaggio dei ricchi, in realtà è molto diffusa anche nelle classi medie di quei paesi che eccedono nella repressione fiscale. In Europa il record della frode fiscale spetta a Svezia e Danimarca (!)

    Per riprendere il suo titolo ad effetto, quindi, non già “Più sono ricchi, piu’ evadono”, ma bensi’, “Piu’ sono tassati, piu’ evadono” , il che fra l’altro non dovrebbe stupirci piu’ di tanto

  • Angelo Mincuzzi |

    Caro habsb, il suo è un intervento molto interessante e articolato, che arricchisce il dibattito sulle diseguaglianze e il fisco. Solo una precisazione: più del 90% dei soldi depositati nella Hsbc Private Bank e resi noti dalla Lista Falciani erano frutto di evasione fiscale.

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