Non è uno scherzo. Trinidad e Tobago sarà l’unico Stato sulla lista nera dei paesi non cooperativi nella lotta contro l’evasione fiscale che l’Ocse presenterà al vertice del G20 ai primi di luglio. Si ripete puntualmente la grande ipocrisia delle blacklist dei paradisi fiscali. “Trinidad e Tobago, che figura nella lista dei paesi non cooperativi, non è stata in grado di dimostrare i progressi che consentono un cambiamento di categoria”, spiega in un comunicato l’Ocse, che aveva ricevuto il compito di preparare una lista nera dei paradisi fiscali durante il vertice del G20 in Cina.
Secondo l’istituto, negli ultimi 15 mesi gli sforzi compiuti da molti paesi per aderire agli standard internazionali di trasparenza fiscale, hanno portato 17 giurisdizioni a migliorare il proprio posizionamento nella classifica. E così tre giurisdizioni sono passate dalla categoria “non compliant” a quella “largely compliant”, dieci giurisdizioni sono migliorate passando dalla lista dei paesi “partially compliant” a “largely compliant” e una giuridizione da “non compliant” a “partially compliant”. Altre tre giurisdizioni, che non erano mai rientrate in nessuna categoria hanno ricevuto il rating di “largely compliant”.
Il risultato è che solo Trinidad e Tobago compare nella nuova black list mentre le Isole Marshall sono state classificate come provvisoriamente “partially compliant”. Un gradino più sopra, tra i paesi parzialmente conformi agli standard figurano Anguilla, Curacao, Indonesia, Saint Maarten e la Turchia.
Panama, al centro dello scandalo dei Panama Paers, è stata inclusa nella categoria dei paesi che rispettano “provvisoriamente” gran parte dei criteri (la categoria “largely compliant”), al fianco di Andorra, Emirati Arabi Uniti, Libano, Guatemala, Vanuatu e Samoa.
Per evitare l’inserimento sulla lista nera ed essere accusati dalla comunità internazionale di essere paesi non collaborativi, le giurisdizioni più a rischio hanno rafforzato nelle ultime settimane i contatti con l’Ocse per dimostrare la conformità con almeno due dei tre criteri stabiliti dal Global Forum sulla trasparenza e lo scambio di informazioni a fini fiscali.
Il primo criterio è il rispetto “largo” per le regole dello scambio di informazioni su richiesta. Il secondo è l’impegno ad attuare le norme dello scambio automatico di informazioni, che entreranno in vigore nel 2018. Il terzo è quello di aderire a una convenzione multilaterale sulla mutua assistenza o a una rete di paesi sufficientemente grande per consentire lo scambio su richiesta o automaticamente.
L’Ocse presenterà le sue valutazioni al vertice G20 che si terrà ad Amburgo l’ 8 e il 9 luglio.
Al vertice precedente, che si era tenuto a settembre a Hangzhou (Cina orientale), i leader del G20 avevano chiesto all’Ocse di preparare “una lista delle giurisdizioni che non hanno progredito abbastanza per raggiungere un livello soddisfacente di attuazione degli standard internazionali in materia di trasparenza fiscale “. E l’Ocse lo ha fatto.
La decisione dell’organizzazione, però, delude gli esperti che combattono per la trasparenza fiscale. Per Alex Cobham, direttore generale di Tax Justice Network, organizzazione internazionale che lotta contro i paradisi fiscali, “negli ultimi anni l’Ocse ha fatto grandi progressi in alcuni settori della trasparenza fiscale, ma l’annuncio di oggi non rientra in questa categoria. Dalla crisi finanziaria, l’Ocse e i suoi membri hanno abbracciato la posizione del Tax Justice Network, secondo il quale solo lo scambio multilaterale e automatico di informazioni può rappresentare un efficace antidoto al segreto finanziario e all’abuso fiscale, alla corruzione e agli altri crimini collegati. È scoraggiante però – ha aggiunto Cobham – vedere che l’Ocse ricade nella vecchia strada della creazione di liste nere di paradisi fiscali sulla base di criteri così deboli da essere quasi senza significato e dichiari di aver raggiunto un successo quando l’elenco è vuoto”. Ma non basta. Perché, accusa il direttore di Tax Justice Network, “il più grande membro dell’Ocse, gli Stati Uniti, hanno deciso di chiedere informazioni a tutti gli altri, rifiutando di ricambiarle. Se si dovesse scrivere una lista nera di paradisi fiscali con un solo membro, non dovrebbe essere una piccola isola caraibica, ma dovrebbero essere gli Stati Uniti”.
angelo.mincuzzi@ilsole24ore.com
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