Viaggio nella mente dell’evasore fiscale. Meglio una truffa che pagare le tasse

Meglio una truffa che pagare le tasse. Il viaggio nella mente dell’evasore fiscale è una miniera di informazioni. Gli italiani hanno almeno 142 miliardi di euro nascosti nei paradisi fiscali, evadono ogni anno circa 120 miliardi di euro ma la cosa più strana per un cittadino onesto che le tasse le paga è che gli evasori fiscali sono disposti anche a correre il rischio di essere truffati piuttosto che versare parte dei propri guadagni al Fisco.

Già, tutto pur di non subire quello che gli evasori chiamano uno “scippo” da parte dello Stato. Che poi è quello che permette di far funzionare ospedali, scuole, infrastrutture. E che ha consentito di combattere  – nel bene e nel male – anche un’emergenza drammatica come quella del coronavirus. Certo, è verissimo che le tasse in Italia sono troppo alte. Ma sono alte per chi li le paga.

A tal punto che qualcuno in questi giorni si è posto una domanda provocatoria e si è chiesto perché gli ospedali pubblici debbano curare anche chi le tasse non le paga, penalizzando invece chi le versa fino all’ultimo centesimo. Una provocazione, certamente.

Avevo affrontato il tema della “psicopatologia” quotidiana dell’evasore fiscale in un articolo pubblicato sul sito del Sole 24 Ore lo scorso ottobre, da titolo “Psicopatologia dell’evasore: una vita nel terrore pur di non pagare tasse”. Lo ripropongo perché il tema è tornato di attualità.

Una vita da paura

Poveri evasori fiscali. La loro è una vita scandita dalla paura. Quella di essere scoperti e di perdere tutto: i soldi ma anche la reputazione. Eppure, piuttosto che pagare le tasse, preferiscono correre il rischio di essere truffati. Perché se devono perdere tutto, meglio un truffatore che lo Stato.

Questo non è l’identikit dell’artigiano o della piccola partita Iva che evade il Fisco per non dover chiudere l’attività. Quelli che vivono nel terrore – sembra un paradosso – sono i grandi evasori, ricchi e facoltosi, che non avrebbero nessuna necessità di commettere un reato ma che scelgono di farlo per convinzione. Anche a costo di dover pagare un prezzo nella loro vita bella e felice.

Fenomenologia dell’evasore

Già. Ma come vive un grande evasore fiscale? Come pensa? E cosa fa quando decide di evadere le tasse? In questi giorni si è acceso in Italia il dibattito sulle “manette” agli evasori. Al centro c’è il quesito se sia più efficace aprir loro le porte del carcere oppure lasciare la legislazione così com’è, e cioé con un carcere solo teorico per chi viene condannato. Un dibattito che in alcuni paesi non troverebbe spazio, semplicemente perché la decisione di incarcerare gli evasori è stata già presa da tempo.

Nessuno, finora, ha però indagato sugli aspetti più psicologici dell’evasione fiscale. E cioé, per dirla con Sigmund Freud (nella foto in alto), qual è la “psicopatologia della vita quotidiana” del grande evasore. A scendere in campo, per dare una risposta, servirebbero psicologi e psicanalisti ma una strada alternativa può essere trovata rispolverando i documenti segreti di una grande banca internazionale che per anni ha offerto servigi a decine di migliaia di evasori fiscali.

Dentro la “lista Falciani”

La banca era la Hsbc Private Bank di Ginevra e le carte che possono aiutare a dipingere il ritratto del grande evasore fiscale sono quelle trafugate nel 2008 da un gruppo di persone tra le quali Hervé Falciani, ingegnere informatico italo-francese e, all’epoca, dipendente dell’istituto di credito.

L’intero archivio della banca venne trafugato nel giro di pochi mesi e quei file finirono nelle mani dei magistrati di mezzo mondo prima e sui giornali dopo: lo scandalo SwissLeaks o “Lista Falciani”. Alcuni di quei documenti sono stati pubblicati nel libro “La cassaforte degli evasori” (edito da Chiarelettere) scritto dallo stesso Falciani (nella foto sotto).

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Nella mente degli evasori

Quei file non contenevano soltanto cifre ma anche descrizioni e racconti dei comportamenti dei clienti della banca che – come ha stabilito la magistratura francese – nel 98% dei casi erano evasori fiscali. Informazioni sufficienti a disegnare il quadro psicologico del grande evasore.

I 100mila clienti italiani della Hsbc avevano depositato nelle sue casse più di 7 miliardi di euro. Erano generalmente imprenditori, manager, professionisti, vip del mondo della moda e dello spettacolo provenienti dal Nord Italia. Tutti ossessionati da un problema: la paura di essere scoperti.

Il regno del terrore

La paura, dunque, è il primo tratto psicologico del grande evasore.

Ma il terrore era anche quello di essere scoperti perfino dalla propria moglie, come per quel professionista milanese che nel salotto della sua casa nel centro di Milano stava ricevendo il gestore dei suoi soldi occultati in Svizzera.

Dopo i convenevoli di rito, il telefono di casa squilla e la moglie del professionista si allontana per rispondere. L’evasore fiscale si china allora sul gestore e gli sussurra: «Santo cielo, non lo dica a mia moglie. Non entri nel dettaglio. Aspettiamo di essere soli».

Non sappiamo come sia finita poi tra i coniugi. Ma il racconto dell’incontro tra il cliente e il gestore della banca finisce nell’archivio riservato della Hsbc di Ginevra, accessibile soltanto a una manciata di dipendenti dell’istituto di credito, che però sarà poi trafugato.

Non bastano i conti cifrati

Il terrore più grande dell’evasore è però quello di essere presi dal Fisco con le mani nella marmellata. I soldi sono custoditi in uno dei luoghi più sicuri al mondo, la Svizzera, protetti dalle stringhe alfanumeriche dei conti cifrati che celano il suo nome.

E l’evasore sa benissimo che il server dove sono custodite le informazioni sui suoi soldi non si trova neppure in Svizzera ma in qualche altro paradiso fiscale molto più lontano e inaccessibile a eventuali richieste di assistenza giudiziaria dei magistrati italiani.

Eppure non basta. La paura vince su tutto. Il grande evasore deve evitare che il suo nome venga collegato alla banca. Non deve lasciare tracce dei contatti con i gestori. E allora, niente telefonate dal cellulare o, peggio, dal telefono dell’ufficio o di casa. I contatti avvengono da cabine telefoniche, come nei film di spie della Guerra fredda.

Niente posta, per favore

E la corrispondenza? Come comportarsi con gli estratti conto o i resoconti degli investimenti che registrano i guadagni? Se inviati per posta o per email lasciano delle tracce. Potrebbero essere trovati in una eventuale perquisizione. E allora, meglio lasciarli nella banca.

Uno dei servizi (a pagamento) che Hsbc forniva ai suoi clienti era quello della domiciliazione delle comunicazioni. Era uno dei più gettonati. Il cliente si recava personalmente in banca dove tutti i suoi estratti conto e i documenti da firmare venivano custoditi e non lasciavano mai fisicamente gli uffici di Ginevra.

Il rischio, accaduto più volte, come registrano i file trafugati dalla Hsbc, era che in caso di morte prematura nessuno della famiglia veniva informato dell’esistenza di un conto bancario in Svizzera. E quei soldi finivano tra i conti dormienti. Adieu.

Ma così il pericolo di essere in qualche modo intercettati veniva scongiurato e la dose quotidiana di paura alleviata. Ma la vita da grande evasore non ammette errori. Chi li compie è spacciato.

Guardia di Finanza in agguato

Ecco cosa scrive un gestore di Hsbc: «Il cliente mi ha convocato a Milano con urgenza. Ha ricevuto una visita della Guardia di Finanza e dal suo computer sembra che abbiano visto un ordine di trasferimento a noi di azioni della casa madre della società presso la quale ricopre la carica di presidente. Mi chiede di prendere contatti con il suo commercialista per cercare di capire cosa si può fare per evitare complicazioni. Faccio presente che il cliente ha sottoscritto circa due anni fa, con i soldi derivanti dallo scudo fiscale, una polizza assicurativa di 1,5 milioni di euro attualmente depositata in Lussemburgo».

Cosa sia successo dopo e cosa abbia deciso la Guardia di Finanza non lo sappiamo ma dalla parole del gestore traspare la paura del suo cliente, terrorizzato forse anche perché ricopriva una carica importante nella sua società e temeva di incrinare la sua immagine.

Come far sparire i soldi

Nella “psicopatologia quotidiana” del grande evasore non mancano altri aneddoti che rivelano emergenze improvvise da risolvere al più presto. Il grande evasore, infatti, non può fidarsi di nessuno e deve stare molto attento ai suoi collaboratori.

Come la moglie del titolare di un conto, che vola da Milano a Ginevra per un problema davvero serio. Il marito è azionista di una società di produzioni pubblicitarie televisive nel mondo della moda. «Il conto presso di noi – scrive il gestore – è alimentato dalla parte offshore di queste attività». E qual è il motivo della visita?

Una dipendente è stata colta con le mani nel sacco mentre sottraeva denaro dalla cassa. Andrebbe licenziata ma «purtroppo – rivela preoccupato il banchiere – la persona è a conoscenza di molti dettagli relativi al conto presso di noi e i titolari temono che queste informazioni possano essere usate per ricattarli».

Il gestore spiega dunque alla allarmata signora che non è possibile «far sparire» il conto ma la rassicura, perché «prima di arrivare a rilasciare eventuali informazioni alle autorità giudiziarie deve essere seguita una trafila legale piuttosto lunga: il cliente deve essere messo sotto indagine in Italia, deve essere richiesta una rogatoria internazionale e questa deve essere accettata dalle autorità svizzere». La soluzione è subito pronta: dirottare tutto in un trust, magari offshore.

Le regole d’oro

Dunque, ricapitoliamo. Nessun contatto con la banca che custodisce i soldi. Niente telefonate, niente corrispondenza. Nessun documento scritto su carta o computer. Massima attenzione ai collaboratori o dipendenti. Non commettere mai errori. Mai distrarsi, mai nessuna leggerezza. Il livello di adrenalina sempre alto, perché l’inconveniente è dietro l’angolo.

Ci sarebbe di che deprimersi ma il grande evasore ha una mission importante: tutelare il patrimonio e nasconderlo al Fisco per non pagare le tasse e, dunque, moltiplicare i suoi guadagni.

La soluzione? I contanti.

Ma il grande evasore trova subito la soluzione ai suoi problemi, magari consigliato dal gestore di fiducia. E la soluzione, a volte, può essere solo una: il caro, vecchio contante.

Nel resoconto di due telefonate finite tra i file trafugati, un gestore si allarma per circa 900mila dollari che una cliente ha depositato in una banca di Montecarlo. La donna vuole riportarli in Italia ma non ha approfittato degli scudi fiscali. Insomma, i fondi non sono puliti.

«Ho proposto di ritirare i soldi in contanti poco alla volta», scrive il gestore.

E aggiunge: «Mi domando se il direttore della banca è al corrente dell’ammenda che la sua cliente rischia in seguito all’evasione fiscale. Ho fatto il possibile per dissuaderla dall’effettuare questa operazione».

E allora c’è chi utilizza la banca come un salvadanaio: ogni giorno un deposito di 10mila o 20mila euro. Chi, al contrario, la usa come un bancomat di lusso: prelievi da 20mila euro o più, tutti in cash, non tracciabili.

C’è perfino un rabbino di Milano il quale, però, non ne vuole sapere di far contento il suo gestore investendo i soldi in fondi o azioni che consentirebbero allo stesso gestore di incassare le sue commissioni: i soldi li vuole conservare tutti nei forzieri di Ginevra. E così, il banchiere lamenta sconsolato: «Solita visita del cliente per rinnovare il conto fiduciario. Non vuole sentire altro che questo».

I file nei report della Ue

I dati sottratti alla Hsbc sono ormai diventati materia di studio. Vengono utilizzati dall’economista francese Gabriel Zucman (nella foto sotto) per le sue analisi sui redditi, incrociati ai dati dei Panama Papers e dei Paradise Papers, e sono stati usati anche per redigere l’ultimo rapporto della Commissione Ue sull’evasione fiscale nell’Unione europea, diffuso a ottobre, che ha registrato come gli italiani detengano all’estero 142 miliardi di euro di soldi liquidi, pari all’8,1% del nostro Pil. E il dato non include immobili, aerei, yacht, opere d’arte, criptovalute, oro e altri preziosi.

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Ma esiste ormai una letteratura di testimonianze di whistleblower sull’evasione fiscale che consentono di tracciare profili psicologici dei grandi evasori. Per esempio “Il banchiere di Lucifero” (RaiLibri), scritto da Bradley C. Birkenfeld, il banchiere che ha raccontato all’Internal revenue service americano come Ubs aiutava i cittadini statunitensi a evadere le tasse.

Oppure “Tax Heavens”, il libro di Rudolf Elmer, che ha raccontato cosa accadeva nella banca svizzera Julius Baer. Ma anche “La femme qui en savait vraiment trop: Les coulisses de l’évasion fiscale en Suisse” (Le Cherche midi), scritto da Stephanie Gibaud, licenziata da Ubs France per essersi rifiutata di cancellare alcuni file che rivelavano l’esistenza di una contabilità parallela nella banca.

Vita più difficile con lo scambio d’informazioni

Con l’avvio dello scambio automatico di informazioni tra 110 paesi dell’Ocse, oggi la vita per il grande evasore è ancora più difficile. Nascondere soldi al Fisco è diventato più complicato e più costoso ma non per questo la piaga è stata sconfitta.

La “psicopatologia della vita quotidiana” del grande evasore continuerà ad arricchire i manuali e, soprattutto, le banche. Magari non più in Svizzera ma in altri luoghi del pianeta che restano al di fuori dei radar degli ispettori del fisco.

Il grande evasore continuerà a nascondere il suo lato oscuro affidando i soldi anche a truffatori con il doppiopetto, come accade sempre più spesso. «Mi sono sempre meravigliato del fatto che i clienti della banca fossero disposti a correre il rischio di essere truffati pur di continuare a non pagare le tasse», ha ricordato più volte Hervé Falciani.

Già, la vita dell’evasore è proprio dura.

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