“Mi segua, la cercano dall’Italia”. È il 17 ottobre 1989 e mi trovo a Bad Neuenahr, a pochi chilometri da Bonn, capitale della Germania Ovest, per seguire un Forum italo-tedesco e l’incontro tra il presidente del Consiglio italiano Giulio Andreotti e il cancelliere federale-tedesco Helmuth Kohl.
I due governatori delle banche centrali, Carlo Azeglio Ciampi e Karl Otto Poehl hanno già terminato i loro interventi quando la voce mi distoglie dagli appunti: “Mi segua”.
Al telefono, da Milano, il mio capo degli Esteri pronuncia poche parole. “Hanno defenestrato Erick Honecker, prendi il primo aereo per Berlino Ovest e passa dall’altra parte del Muro”.
Da mesi la Germania Est è in subbuglio. Le proteste si succedono per le strade, prima a Lipsia poi nella stessa Berlino Est, il malcontento dilaga. In realtà è tutto il blocco sovietico a vivere mesi difficili. Da quanto Mikhail Gorbaciov ha dato vita alla Perestroika e alla Glasnost, il segretario generale del Pcus è diventato un simbolo di libertà per le popolazioni dei paesi satelliti dell’Unione sovietica che questa volta sembrano più ortodossi della stessa Urss.
Il crocevia della Storia
Nessuno può ancora saperlo, ma in questi giorni Berlino Est è il preciso punto geografico nel quale la Storia ha deciso di cambiare percorso. Ora. Adesso. A Berlino Est. Tutto congiura perché gli eventi accelerino e precipitino.
Ma in questo 17 ottobre nessuno immagina ciò che accadrà di lì a poco.
A Berlino, all’alba del 18 ottobre attraverso il Muro. Il cielo è gonfio di pioggia, la giornata buia. Acquisto una copia di Le Monde e mi dirigo a piedi verso la lugubre copertura di cemento che separa il settore occidentale da quello orientale: il check point Charlie.
Il confine taglia la Friedrichstrasse all’altezza della Zimmerstrasse, tra il quartiere di Mitte all’Est e quello di Kreuzberg a Ovest. È così da 28 anni, da quando nel 1961 i sovietici hanno diviso in due la città.
Ho lasciato la macchina per scrivere portatile in un albergo di Berlino Ovest. Non ho avuto il tempo di chiedere un visto da giornalista e al confine so che dovrò mentire dicendo che vado a Berlino Est per turismo. Ma nessun turista si muove con una macchina per scrivere, quindi ho dovuto rinunciarvi. Scriverò gli articoli a mano.
Pochi giorni prima alcuni giornalisti occidentali sono stati espulsi dalla Ddr e dunque non posso rischiare. L’obiettivo è raggiungere l’altra parte del Muro e rimanervi fin quando il giornale ne avrà bisogno.
La cicatrice tra Est e Ovest
Prima di incamminarmi verso il check point alzo lo sguardo verso il Muro. Me lo aspettavo più alto, più inviolabile. Ci si può arrampicare tranquillamente. Solo passato il confine mi renderò conto della violenza di quella barriera.
Sono già stato in Germania Est, a Lipsia, sei mesi fa. E ho toccato con mano la differenza tra l’Est e l’Ovest. Ma questa volta è diverso.
Questa volta l’impatto è come un pugno nello stomaco. Il check point è lungo, occupa in larghezza e in profondità lo spazio di due isolati. Questi duecento metri di terra di nessuno separano non solo due paesi ma due epoche diverse. Nello spazio di due isolati vieni proiettato in un mondo che sembra quello dell’Italia degli anni 60. Trent’anni indietro. Ed è una sensazione forte, straniante, che ti lascia senza punti di riferimento.
Mi incammino sulla Friedrichstrasse e osservo le facciate dei palazzi, annerite e scrostate. I fori delle pallottole della Seconda Guerra mondiale sono ancora lì a ricordare la storia drammatica di questa città. Arrivo sulla Unter del Linden, desolata anche questa. Assieme al rumore dei passi emerge dal passato quello molto più cupo delle parate militari hitleriane che avevano questo viale come tragico palcoscenico. In questi palazzi è stato progettato un delirio sanguinario che ha spazzato via decine di milioni di persone.
Il regime nazista è stato sostituito da quello comunista ma ora anche quest’ultimo vive ore difficili.
L’uomo che cambiato la Storia
Cammino nel buio da Alexanderplatz alla Porta di Brandeburgo. È la sera del 22 ottobre. Sulla Karl-Liebknecht strasse vedo un capannello di persone discutere animatamente. Circondano un uomo che risponde alle loro domande. Chiedo a un ragazzo chi sia quell’uomo e lui mi risponde che è Gunther Schabowski, membro del Politburo della Sed, uno dei pezzi grossi della Repubblica democratica tedesca.
La discussione va avanti a lungo. Mi stupisce la calma di Schabowsi in confronto alla foga dei suoi interlocutori. Non posso ancora saperlo, ma proprio quell’uomo avrebbe cambiato la Storia solo qualche giorno dopo. Rispondendo alla domanda del corrispondente dell’Ansa a Berlino Est, Schabowski annuncerà che i cittadini tedesco-orientali, a partire dal quel momento, potranno superare liberamente il Muro. Lo farà esattamente fra 13 giorni, il 9 novembre 1989. Da quel momento nulla sarà come prima.
Già, il crocevia della Storia.
Il giorno dopo vado all’università a incontrare gli studenti che animano la contestazione. Chiedo quali sono i loro sogni. Mi rispondono dicendomi che non vogliono la riunificazione tedesca. Sognano invece una Germania Est indipendente che costruisca la terza via tra capitalismo e socialismo.
Non sanno che la loro resterà soltanto un’illusione e che di fronte alla forza della Storia i loro desideri non hanno speranza.
L’insegnamento di quei giorni
Quelli sono gli ultimi scampoli del comunismo. Tra poco tutto a questo non ci sarà più. La Ddr scomparirà e con essa gli edifici scrostati, i fori delle pallottole, il buio delle strade di notte, il silenzio, i muri senza pubblicità.
Guardo la notte dalla finestra dell’Hotel Metropole. A sinistra la città è illuminata. Luci ovunque. A destra c’è il buio. A sinistra c’è Berlino Ovest, a destra Berlino Est. A separare luci e ombre c’è il lungo serpente di cemento del Muro: il confine tra due mondi, tra due ideologie.
Torno a Berlino trent’anni dopo quei giorni che hanno cambiato il mondo. Mi chiedo quale lezione abbiano imparato gli uomini da quegli eventi. Mi accorgo che non ho una risposta.
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