Panama un paradiso fiscale? Ma non scherziamo. Gli Emirati Arabi Uniti? Per carità. La vicenda della “lista nera” dei paradisi fiscali stilata dall’Unione europea sfiora ormai i contorni del ridicolo.
Martedì i ministri delle Finanze della Ue hanno deciso di rimuovere dalla blacklist diffusa soltanto un mese fa otto paesi. E di quali giurisdizioni si tratta? Si tratta di Barbados, Grenada, Corea, Macao, Mongolia, Panama, Tunisia ed Emirati arabi.
Dopo questa sforbiciata la “lista nera” dell’Unione europea resta alquanto sguarnita. Ne fanno parte soltanto American Samoa, Barhain, Guam, le Isole Marshall, Namibia, Palau, Santa Lucia, Samoa e Trinidad e Tobago.
I nove paesi eliminati dalla blacklist sono stati promossi nella cosiddetta greylist, un elenco di 47 giurisdizioni sotto osservazione.
Ma ciò che colpisce è la facilità con la quale paesi come Panama sono stati promossi. È stato sufficiente un impegno a modificare la normativa e ad adeguarsi agli standard internazionali sostenuti dalla Ue. Per il paese dei Panama Papers, della Mossack Fonseca, delle migliaia di società scudo e di fondazioni i cui titolari restano un segreto, è una bella vittoria. Per chi invece le tasse le paga fino all’ultimo centesimo si tratta di una grande sconfitta.
Eppure, basta parlare con un qualunque esperto di cose giuridiche, un commercialista o un fiscalista per avere la conferma che Panama e Dubai (che fa parte degli Emirati arabi) continuano a essere le mete preferite per evasori fiscali e riciclatori.
Il vero problema della blacklist Ue è che i veri paradisi fiscali sono all’interno dell’Unione: si tratta di Olanda, Irlanda, Lussemburgo, Malta, Cipro. Il problema esiste ma per non vederlo si chiudono entrambi gli occhi.
L’Unione europea, dunque, ha perso un’altra grande occasione. Se questo è il metodo per combattere la grande evasione fiscale internazionale, forse è più efficace accendere un cero a qualche santo.
angelo.mincuzzi@ilsole24ore.com
L’URLO è anche su Facebook, Google+ e Flipboard