Se i mediocri hanno preso il potere, siamo sicuri che la meritocrazia ci salverà?

I mediocri hanno preso il potere, sostiene il filosofo canadese Alain Deneault. Ma se è così, a salvarci sarà davvero la meritocrazia?
Esattamente sessant’anni fa, nel 1958, viene pubblicato in Gran Bretagna un libro di fanta-sociologia ambientato in un futuro per noi non molto lontano. Il racconto è collocato infatti nel 2033 in una società finalmente governata dalla meritocrazia, dove l’unico metro di valutazione dei cittadini è il Quoziente intellettivo e dove il 5% dei più intelligenti governa sul rimanente 95%.
L’autore del libro “L’avvento della meritocrazia” (pubblicato anche in Italia nel 2014 dalle Edizioni di Comunità) è il sociologo ed economista inglese Michael Young, all’epoca membro influente del Partito laburista britannico. A distanza di sessant’anni dalla sua uscita, il fanta-racconto fornisce ancora significative chiavi di lettura per interpretare il mondo di oggi.

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L’inventore della parola “meritocrazia”

young_michaelYoung (nella foto in alto) è il vero padre del termine “meritocrazia”, ma a differenza del significato positivo che oggi attribuiamo a questa parola (considerata la medicina ideale per una società malata, governata dalla mediocrazia), il sociologo inglese ne aveva una considerazione del tutto negativa, addirittura dispregiativa.
Young segnala infatti il rischio che un’applicazione rigidamente ideologica del principio meritocratico possa generare una società ancora più ineguale di quella del suo tempo.

Il mondo descritto da Young è un mondo ormai proiettato verso un cupio dissolvi, con una società dominata da una nuova casta meritocratica e una maggioranza che, alla fine, si rivolta sanguinosamente. Young finge che l’autore del libro sia un sociologo che nel 2033 ripercorre le vicende storiche della Gran Bretagna dal 1870 all’anno in cui scrive. Alla fine del libro apprendiamo da una frase in corsivo che «poiché l’autore di questo saggio è stato ucciso anch’egli a Peterloo, gli editori, con rincrescimento, non hanno potuto sottoporgli le bozze del manoscritto per quelle correzioni che forse avrebbe voluto apportargli prima della pubblicazione». Peterloo è il luogo dove nel maggio 2034 si svolge uno sciopero generale organizzato dai “populisti”, l’unica organizzazione che si oppone alla società meritocratica e che vorrebbe ripristinare alcuni principi democratici e socialisti.

Intelligenza ed efficienza

Il racconto e le parole del libro sono dunque quelle di un uomo entusiasta della meritocrazia (a differenza del vero Young, che non lo era affatto) e devono essere lette inforcando i suoi occhiali. «Se non si può giocare altro che un calcio di prima fascia – scrive Young -, che cosa si deve fare di tutti quelli che non sono abbastanza bravi per essere ammessi nella squadra? Gli uomini, dopotutto, si distinguono non per l’uguaglianza ma per l’ineguaglianza delle loro doti. Se valutassimo le persone non solo per la loro intelligenza o la loro efficienza, ma anche per il loro coraggio, per la fantasia, la sensibilità e la generosità, chi si sentirebbe più di sostenere che lo scienziato è superiore al facchino che ha ammirevoli qualità di padre, o che l’impiegato straordinariamente efficiente è superiore al camionista straordinariamente bravo a far crescere le rose?».

meritocrazia_fbIntelligenza ed efficienza sono dunque i parametri in base ai quali gli uomini vengono giudicati nella futuribile società meritocratica descritta da Young. In passato, invece, le cose andavano diversamente: «A quei tempi nessuna classe era omogenea dal punto di vista dell’intelligenza: i membri intelligenti delle classi superiori avevano tanto in comune con i membri intelligenti delle classi inferiori quanto ne avevano con i membri stupidi della propria classe. Ora che gli individui vengono classificati secondo l’intelligenza, la distanza tra le classi è diventata inevitabilmente maggiore. Da una parte, le classi superiori non sono più indebolite dai dubbi su se stesse e dall’autocritica. Oggi le persone in vita sanno che il successo è la giusta ricompensa della loro capacità, dei loro sforzi e delle loro innegabili conquiste. Esse meritano di appartenere a una classe superiore. Inoltre sanno non solo che il loro valore è alto in partenza, ma che sopra le loro doti naturali è stata costruita un’istruzione di prim’ordine».

Una società ineguale

Dunque, la società meritocratica è profondamente ineguale ma poiché la divisione per classi è basata su un parametro accettato come oggettivo da tutti (l’intelligenza), anche le differenze vengono accettate da tutti. O quasi. «Anche la situazione delle classi inferiori è diversa – scrive l’autore -. Oggi ogni individuo, per quanto umile, sa di aver avuto tutte le possibilità… Per la prima volta nella storia umana l’uomo inferiore non ha a portata di mano alcun sostegno per il suo amor proprio».

Ma ecco cosa aggiunge l’entusiasta sociologo che descrive le mirabolanti caratteristiche della società meritocratica. «Gli uomini dopotutto si distinguono non per l’uguaglianza, ma per l’ineguaglianza delle loro doti. Una volta che tutti i geni stiano nell’élite, e tutti gli stupidi tra i lavoratori, quale significato può avere l’uguaglianza? Quale ideale è sostenibile fuorché il principio dell’uguaglianza di rango a parità di intelligenza?».

E ancora: «L’assioma del pensiero moderno è che gli individui sono ineguali; e da esso dipende il precetto morale che si debba dare a ciascuno una posizione nella vita proporzionata alla sua capacità. Dopo una lunga battaglia si è potuto costringere alla fine la società a conformavisi: i mentalmente superiori sono stati innalzati al vertice, e i mentalmente inferiori sono stati calati al fondo. Entrambi portano vestiti fatti su misura…».

L’élite diventa ereditaria

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Il cammino vero la meritocrazia inizia più di 40 anni prima rispetto alla data nel quale l’ignoto sociologo scrive il suo resoconto. «Intorno al 1990 tutti gli adulti che avevano un QI superiore a 125 appartenevano alla meritocrazia. Un’alta percentuale dei ragazzi dotati di un QI superiore a 125 erano figli di questi stessi adulti. I migliori di oggi partoriscono i migliori di domani in una misura che non ha precedenti nel passato. L’élite si avvia a diventare ereditaria; i principi dell’ereditarietà e del merito tendono a fondersi. Quella trasformazione fondamentale per la quale sono occorsi più di due secoli è ormai quasi perfezionata». E poi: «Sotto questo nuovo regime la divisione tra le classi è diventata più netta, la posizione delle classi superiori più alta e quella delle classi inferiori più bassa».

La meritocrazia, dunque, si trasforma in un governo ereditario, dove i figli dei più intelligenti frequentano le scuole migliori, vivono in un ambiente competitivo e dunque tendono a essere mediamente più intelligenti di coloro che appartengono alle classi inferiori.

Young, naturalmente, estremizza, utilizza un linguaggio da iperbole, quasi satirico. Il suo è un romanzo distopico, che descrive una immaginaria società indesiderabile e spaventosa, simile a quelle raccontate da Aldous Huxley ne “Il mondo nuovo” e “L’isola” e da George Orwell in “1984“.

Il desiderio di meritocrazia

L’avvento della meritocrazia” fu scritto da Young per mettere in guardia contro i cedimenti che alla fine degli anni 50 del secolo scorso si intravedevano fra i laburisti nel campo dell’istruzione pubblica e che rischiavano di compromettere la concezione egalitaria e democratica della società propugnata dal Partito laburista. Non a caso nel giugno 2001, Young scrive un’intervento (“Abbasso la meritocrazia”), pubblicato dal Guardian, nel quale si scaglia contro la politica di Tony Blair.

Certamente il ragionamento antimeritocratico di Young può sembrare del tutto fuori traccia nell’Italia di oggi, dove desideriamo ardentemente un po’ più di autentica meritocrazia nella selezione della classe dirigente di ogni ordine e grado. In Italia – è fuor di dubbio- c’è un bisogno disperato di meritocrazia.
Young considera invece la meritocrazia come un sistema ideato dalle classi dirigenti per cooptare i più intelligenti tra le classi più umili per disinnescare la possibilità di attuare un cambiamento politico.

Ma forse il significato autentico del libro lo fornisce lo stesso Young nel suo intervento sul Guardian, quando scrive che «è di buon senso inserire le singole persone nei posti di lavoro sulla base del loro merito. Ma accade il contrario quando coloro ai quali viene riconosciuto un merito particolare si irrigidiscono in una nuova classe sociale che non lascia spazio agli altri».

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angelo.mincuzzi@ilsole24ore.com

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  • Del Monte Raffaele |

    L’imperio della meritocrazia rischierebbe, senza il buon senso e l’equilibrio nell’agire, di trasformarsi in un regime per pochi alla stregua della mediocrazia, oggi imperante, perché anche questa scevra di buon senso e di equilibrio nell’agire, conseguentemente tende ad espellere gran parte dei più’ meritevoli. Le due cose sono antitetiche e, se non sostenute dal desiderio di essere utili per tutti e non per se stessi, si equivalgono nei risultati.

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