La seconda giovinezza di Tremonti, antiglobal e contro «questa» Europa

La Finanza? “Una nuova superpotenza che non ha esercito, non ha confini, non ha regole, non riconosce diritti diversi dai suoi, sostiene e sovvenziona in tutte le sedi il suo totalitario pensiero mercatista e con questo la sua dominante cultura, non è soggetta a corti di giustizia ma semmai le usa, tende a trasformare le democrazie in predilette o tollerate oligarchie, non ha leader visibili e tuttavia, cresciuta ormai a dismisura, comanda su tutti: sugli Stati, sui governi, sui popoli”.

Le borse? Diventate delle “bische, oggi le borse oscillano… con violenza da un valore al valore opposto. Un tipo di borsa che dopo aver promesso un “ritorno sul capitale” (return on capital), oggi non pare davvero in grado di garantire neppure il “ritorno del capitale” (return of capital)”.

Chi è l’antiglobal che esprime queste idee? Il leader di Podemos, Pablo Iglesias? Decisamente no. Il primo ministro greco Alexis Tsipras? Per nulla. Forse Beppe Grillo? Neanche lui, siete sulla cattiva strada. Sedetevi e reggetevi con forza.

Chi scrive è l’uomo che per quasi un ventennio è stato il Jean-Baptiste Colbert di Silvio Berlusconi, senza per questo voler paragonare il fondatore di Forza Italia a Luigi XIV. È l’uomo che ha tirato fuori dal cilindro gli scudi fiscali che hanno salvato migliaia di evasori consentendo loro di pagare pochi spiccioli di tasse (anche se il diretto interessato nega che sia stato così). Sì, avete indovinato, è Giulio Tremonti, senatore, ex ministro delle Finanze e dell’Economia, presidente dell’Aspen Institute, tributarista, docente universitario, ex collaboratore di Franco Reviglio e Rino Formica.

Uomo dal pensiero sottile e per certi versi ironico, Tremonti vive la sua seconda giovinezza come autore di libri, l’ultimo dei quali, “Mundus furiosus” (Mondadori) è appena uscito nelle librerie.
A scanso di ogni equivoco vale la pena precisare che il Tremonti-Colbert non ci piaceva un granché. L’autore di libri, invece, ci piace parecchio.

Ecco qualche altro assaggio del Tremonti-pensiero: “In Europa da troppi anni c’è la crisi, una crisi che non finisce, e una crisi da cui non si esce sperando di poter agire solo sugli effetti e non anche sulle cause, come malamente si è fatto finora, scambiando la malattia con la cura, ovvero manovrando “commutatori cartacei della stessa natura di quelli che la crisi l’anno causata” (come spiegava Einaudi nel 1933, parlando della crisi del 1929)”.

Ma Tremonti non risparmia critiche neppure all’Europa, anche se il Tremonti-bis (quello della seconda giovinezza) non sembra certamente un antieuropeista. Ogni volta, infatti, precisa che a non piacergli è “questa Europa” che continua a essere “debole con i forti e forte con i deboli”. Sentiamolo: “Questa Europa, accettando passivamente i termini della più estrema altrui modernità, nella sua conseguente decadenza sta diventando l’Ancien Régime di se stessa. Con sonnambuli che nella notte di Bruxelles si aggirano in un “Palazzo” abitato da più gloriosi fantasmi… A Bruxelles sono stati commessi e ancora si commettono errori gravissimi”.

Rimettere il dentifricio nel tubetto

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Qualcuno sostiene che nella stessa persona convivano in realtà due Tremonti: il ministro e l’intellettuale. Profondamente diversi tra loro e, anzi, antitetici, inconciliabili. Per questo occorre focalizzarsi, ora, sul Tremonti-saggista che già da anni non risparmia le sue critiche alla finanza-casinò.

Ecco cosa scriveva nel 2012 in “Uscita di sicurezza”: “Alla base del mercato finanziario c’è un’ideologia potente e dominante che tende ad azzerare la parte migliore della natura umana, riducendo la vita nell’economia e l’economia nella finanza, un mostro che oggi si alimenta divorandoci e infine divorandosi. Per reazione alla crisi possono infatti venire conflitti, sommovimenti sociali e ribellioni e, con questi, nuovi movimenti, capaci anche di generare forme politiche aberranti. Come è già stato nella storia e come mille segni oggi annunciano. Quando, manovrando il mercato finanziario e gli spread, il potere agisce sulla manopola del volume della paura, la paura di perdere tutto, dal lavoro al risparmio; quando davanti alla crisi il potere, proprio il potere liberale costituito in nome del libero mercato, chiede che per pericolo e necessità sia proclamato lo «stato d’eccezione»; quando per conservare i suoi interessi la finanza arriva all’ultimo stadio, mettendosi a governare in presa diretta facendo uso di tecnici che, loro sì, sono del tutto diversi dal popolo e perciò sanno cosa è bene per il popolo; quando arriva il Fondo Monetario Internazionale a ridurre la sovranità nazionale; quando è evidente che questo processo, essendo basato sulle stesse meccaniche che hanno causato la crisi, non la interrompe ma all’opposto la prolunga e la aggrava; quando, pur con tutte le sue colpe, chi è eletto non conta mentre conta chi non è eletto e questi conta proprio perché non eletto; quando si immagina di togliere ai popoli il diritto di voto per sostituirlo con il sorteggio, così da costituire la Camera perfetta, la Camera dei popoli (!?); quando si tagliano le radici della democrazia ragionando in termini di aut aut, pensando, imponendo che i deficit pubblici possano essere curati proprio con corrispondenti dosi di deficit democratico, allora è chiaro che è poi difficile fermarsi o fermare il conflitto sociale, è chiaro che risulta poi difficile, come popolarmente si dice, rimettere il dentifricio nel tubetto; quando il crepitare degli spread fa vacillare la fiducia in noi stessi e lo spirito dell’Unione Europea, allora è chiaro il rischio che emergano qua e là, e a partire proprio dalla civilissima Europa, i primi segni di un tipo nuovo di fascismo: il fascismo finanziario, il fascismo bianco”.

La degenerazione della finanza

Con i suoi 1,4 quadrilioni di dollari – scrive adesso Tremonti in “Mundus furiosus” – la finanza “è già uscita dal controllo della politica… come la vecchia politica fu abdicante nel 1914 a favore degli Stati maggiori militari”. Siamo dentro un mondo – ammonisce ancora Tremonti – “disegnato in modo tale per cui l’economia sta in piedi solo con la crescita perpetua, come una bicicletta sta su solo pedalando”.

Dentro un mondo “che pare ricalcare gli antichi caratteri della politica monetaria sudamericana”, in cui l’inflazione “viene considerata e desiderata almeno come la crescita”, nel quale non è più il nemico da abbattere “ma l’amico da creare con tutti i mezzi”. Dove l’effetto dei tassi zero sarà negativo per le famiglie europee, dove si usano ancora i vecchi manuali per tentare di contrastare la crisi e dove le banche centrali stanno aumentando a dismisura la massa monetaria con la creazione di nuova moneta, che avrà l’effetto di amplificare il problema invece di risolverlo. Dentro un mondo in cui “l’eccesso della finanza crea illusioni”, sconvolge e soppianta l’ordine storico degli equilibri.

Non solo. Per effetto della rivoluzione digitale “il ceto medio, una volta al centro della piramide sociale, comincia a vedere l’erosione delle sue tradizionali basi esistenziali, comincia a vedere e temere la sua discesa verso il basso”. Ecco perché la crisi – racconta Tremonti – “da un lato sta già producendo, sulla parte più povera della popolazione, gli effetti che un tempo sono stati tipici delle epidemie. E dall’altro ha quasi del tutto svuotato quei pubblici bilanci da cui si dovrebbe attingere per fare politiche redistributive o di riequilibrio”.

I margini di spesa, annota sconsolato il Tremonti-antiglobal “sono infatti già stati utilizzati (quasi ovunque, ma non in Italia) per salvare le banche o dintorni, così operando il più colossale trasferimento di ricchezza mai fatto nella storia moderna: dal settore pubblico a quello speculativo.

L’Europa che sbaglia

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Questa Europa a Tremonti (nella foto qui sopra con Jean Claude Juncker) proprio non piace: è un’Europa, stupida, non democratica, degenerata. Il suo sogno è fallito. “C’è oggi in Europa motivo per avere dubbi sulla forza della ragione europea come matrice produttiva di uno schema di progresso continuo”.

L’allargamento europeo che ha aperto le porte ai paesi ex comunisti dell’Est “ha concentrato la forza naturalmente espansiva della Germania, con effetti di squilibrio allora non difficili da profetizzare e oggi molto facili da verificare”.

L’Europa, questa Europa, si è lasciata trascinare colpevolmente nella globalizzazione, dice in sostanza Tremonti. “Non è l’Europa che è entrata nella globalizzazione. All’opposto è stata la globalizzazione che è entrata in Europa, trovandola impreparata”. Già, perché “mentre in Europa si costruiva il “mercato perfetto”… da fuori premeva e preme infatti ben altro: monopoli perfetti, oligopoli, fondi sovrani, soprattutto “economie di comando”, ovvero economie comuniste, e poi ancora tanti altri diversi modelli politici ed economici, che inevitabilmente e sistematicamente e senza tregua tendevano e tendono a spiazzarci nella competizione globale”.

L’euro che divide

“Moneta senza governi, governi senza moneta”, chiosa Tremonti. “Per la prima volta nella storia – scrive -, con l’euro appare una moneta dissociata tanto dall’oro quanto dalla sovranità nazionale”. E poi: “Fatto per federare con i portafogli anche i cuori degli europei, come si usava dire da parte dei suoi inventori, oggi l’euro sta infatti producendo, o sembra che produca, effetti opposti rispetto a quelli pianificati in laboratorio: effetti divisivi, tanto sui portafogli quanto simmetricamente sui cuori degli europei”. Dunque, non è stata un’operazione riuscita quella dell’euro. Ma Tremonti è pro o contro la moneta europea? Nel libro non lo rivela.

La crisi e la Grecia

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La crisi – sostiene Tremonti – non era prevista nei Trattati dell’Unione. E come conseguenza l’Europa ha manifestato tutta la sua incapacità nella gestione della crisi del debito greco. I problemi, per la Grecia, cominciano proprio a partire dall’euro. “In una dimensione di euforia, a partire dal 2002, un enorme flusso di capitali è infatti andato a credito dalle banche europee alla società greca, così allegramente finanziando Olimpiadi, piscine, auto (queste non made in Grecia), e più in generale le più varie illusioni di benessere”. Un’allegria bilaterale, fa notare Tremonti, perché i creditori incassavano ricchi interessi attivi sui loro crediti.

“In base alle leggi dell’economia (di mercato), se falliscono i debitori, falliscono anche i creditori. Ebbene, nel caso della Grecia non è stato così. È stato l’opposto. Gli amici e sovventori delle cicale sono infatti diventati le cicale degli altri. È così che gli aiuti europei alla Grecia, aiuti anche dall’Italia generosamente contribuiti, hanno aiutato tutti, e in specie hanno aiutato le banche tedesche e francesi creditrici della Grecia… tutti, tranne che i Greci”. La prova? Si chiede Tremonti: “Con le cure europee, dopo le cure europee, il debito pubblico greco è salito, il Pil greco, e la speranza di vita, sono scesi”.

Ma non è finita qui. “È dunque assurdo – prosegue Tremonti -, dopo tutto questo, quanto oggi ancora dal lato dell’Europa compulsivamente si chiede alla Grecia: più privatizzazioni, più liberalizzazioni”. Una cura che nemmeno Margareth Thatcher pretenderebbe.

“Le ragioni dei creditori devono sempre essere coerenziate ed equilibrate con le ragioni dei debitori. È impossibile che i primi abbiano tutte le ragioni e i secondi invece tutti i torti”.

Il “Mundus Furiosus” di Tremonti è certamente un po’ apocalittico ma propone delle soluzioni, anche per quanto riguarda questa Europa: per esempio, rifondarla e farne una Confederazione dove gli stati tornino ad avere quel ruolo che i Trattati hanno loro negato. Forse è ancora vivo il ricordo della fine del 2011 quando l’Unione europea e la Bce determinarono la caduta di un governo democraticamente eletto (di cui Tremonti era ministro) e la nascita di un esecutivo tecnico facendo leva sull’emergenza degli spread. Una vicenda sulla quale solo la storia potrà fare chiarezza. Ma questa, appunto, è un’altra storia.

angelo.mincuzzi@ilsole24ore.com

Twitter: @Angelo_Mincuzzi

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