«C’est quoi ça? Corruption?». Ci sono persone che in una frase sono capaci di farti capire chi sono. Così, quando allungo lo sguardo e scorgo la bottiglia di champagne infiocchettata di giallo sulla scrivania di Edwy Plenel (nella foto in alto), capisco che da queste parti, nella redazione di Mediapart, siamo lontani anni luce dall’Italia. Si può corrompere un giornalista con una bottiglia di champagne? Per chi ogni giorno combatte la corruzione e il malaffare politico, per chi ha deciso che la sua missione è quella di “cane da guardia” del potere, anche una bottiglia di Pommery può essere pericolosa. «C’est quoi ça? Corruption?». Ecco perché sono venuto a Parigi: per capire se il giornalismo, quello vero, libero e indipendente ha ancora una speranza o è destinato a morire di asfissia stritolato dai conflitti di interesse e dai giochi di potere finalizzati alle carriere personali di pochi.
Dalla direzione di Le Monde alla nascita di Mediapart
Edwy Plenel è l’uomo che ha fatto di Mediapart un successo editoriale studiato perfino nelle università americane di giornalismo. Otto anni fa, dopo aver lasciato la direzione di Le Monde, Plenel ha fondato il giornale online Mediapart insieme a tre compagni di avventura, Laurent Mauduit, François Bonnet e Gérard Desportes. Giornalismo di alto livello, investigativo, sempre con uno sguardo originale, senza sconti per nessuno. Mediapart ha attaccato Nicolas Sarkozy e François Hollande, ha fatto emergere alcuni degli scandali politici più spinosi della Francia degli ultimi anni, ha fatto dimettere un ministro socialista, ha indagato tra i meandri dei finanziamenti illeciti ai partiti. Plenel è l’uomo giusto per rispondere alle domande.
L’appuntamento è per le 8 del mattino davanti alla redazione di Mediapart, al numero 8 di Passage Brulon, una stradina a poca distanza da Place de la Bastille, luogo simbolico per la Francia. Il direttore di Mediapart, 64 anni, arriva puntuale, infila la chiave nel cancello e ci fa strada. L’edificio dove ha sede la redazione del giornale è un palazzotto moderno tinteggiato di beige, basso, dove al piano terra ci sono i laboratori di falegnameria di alcuni artigiani. Sono locali di proprietà del Comune di Parigi, allestiti per evitare la fuga dalla città delle piccolissime attività produttive. Un sistema intelligente per conservare un tessuto connettivo che altrimenti sarebbe già scomparso da tempo.
La bottiglia di champagne è lì sul tavolo. È solo il regalo di un amico, nessun tentativo di corruzione. Plenel si siede e comincia a raccontare.
Una scelta chiara: far pagare l’informazione
Mediapart è un giornale digitale che vive di abbonamenti. Oggi ha circa 118mila abbonati che pagano 90 euro all’anno per leggere le notizie che il sito pubblica ogni giorno. Da più di quattro anni sono abbonato anch’io e ho potuto sperimentarne la fattura e la formula innovativa. La scelta editoriale è stata chiara fin dall’inizio, spiega Plenel. Il giornalismo di qualità si paga. «La rivoluzione digitale è stata uno choc come le precedenti rivoluzioni industriali, quelle della macchina a vapore e dell’elettricità – ragiona Plenel -. Gli editori francesi hanno commesso l’errore storico di abbandonare l’informazione di qualità, quella che permette di vivere dei propri lettori. Hanno ceduto a un altro modello, completamente gratuito, basato sull’audience per raccogliere pubblicità, come fanno la radio e la televisione».
Ma il core business di radio e tv non è l’informazione, bensì l’intrattenimento. Ecco il grande equivoco nel quale sono caduti gli editori, secondo il direttore di Mediapart. Diventando gratuiti i giornali hanno dovuto massimizzare la loro audience con la conseguenza di cedere pezzi di libertà per non compromettere gli introiti pubblicitari. L’informazione si è dunque omologata, standardizzata, si è resa innocua.
L’altro grande equivoco è proprio il concetto stesso di gratuità che, sostiene Plenel, non esiste. E non solo perché è la pubblicità che paga quei contenuti ritenuti gratuiti ma anche perché i cellulari, gli smartphone, i tablet, i pc e le linee telefoniche che consentono di accedere a contenuti gratuiti hanno comunque un costo. La gratuità, inoltre, «veicola l’illusione che va bene tutto perché tutto sarà gratuito, il meglio come il peggio, l’informazione pertinente come i rumori infondati». L’informazione viene spinta verso il basso, banalizzata, maltrattata, svalutata.
Tutto ciò è avvenuto nel momento più nero per l’editoria. Come ha scritto nell’articolo in cui ha raccontato perché è nata Mediapart (“Le prix de la liberté“), Plenel afferma che «economicamente la stampa quotidiana francese è entrata in una spirale depressiva senza fine: deficit che si aggravano, lettori che scompaiono, entrate pubblicitarie che si riducono e piani di crisi che si ripetono. Tutto ciò priva i giornali del loro capitale più prezioso: l’esperienza di coloro che i giornali li fanno».
Ma non è ancora finita qui. Perché «economia e politica vanno di pari passo: una stampa fragile è una stampa molle».
Il web ha fatto cadere il giornalismo dal piedistallo
Mediapart non rincorre l’audience ma punta a dare ai suoi abbonati contenuti giornalistici originali e di qualità. Proprio per questo il sito viene aggiornato solo tre volte al giorno: tre edizioni con una scelta precisa e una gerarchia ponderata dei contenuti. Nessuna ansia di aggiornamento continuo. Alla superficialità si preferisce la profondità e la chiave di lettura originale. Il direttore di Mediapart ama ripetere che il giornale è “al servizio dei cittadini”. E non dice “lettori” ma “citoyens“, un termine che porta dritto alla Déclaration des Droits de l’Homme et du Citoyen del 1789.
Plenel, che da giovane è stato di simpatie trotzkiste, ha in Albert Camus un suo riferimento professionale. Il Camus antifascista di Combat, il giornale della resistenza francese nato al momento della Liberazione della Francia dal nazismo. Non è un caso che Plenel abbia voluto intitolare “Combat pour une presse libre” il Manifesto di Mediapart: un libro che tutti i giornalisti dovrebbero imparare a memoria.
Altro riferimento ideologico è Hanna Arendt, l’autrice de “La banalità del male” e de “Le origini del totalitarismo”. Plenel è anche vicino a un magistrato italiano simbolo della lotta alla mafia e alla corruzione, Roberto Scarpinato (a sinistra nella foto in alto), collaboratore di Giovanni Falcone e Paolo Borsellino. Ma per capire profondamente Plenel e la filosofia che è alla base di Mediapart bisogna leggere uno dei suoi libri più appassionati, “Le droit de savoir“, uscito nel 2013 per le Editions Don Quichotte, un libro in difesa della libertà di stampa e della libertà di espressione contro qualunque forma di potere.
La partecipazione dei lettori per creare una comunità
Ecco perché i fondatori di Mediapart hanno teorizzato fin dall’inizio l’importanza del “giornalismo partecipativo”. Un ruolo importante nel successo editoriale di Mediapart è Le Club, una sezione del sito riservata agli abbonati, dove i lettori possono dare vita a un proprio blog, associarsi per creare dei veri e propri giornali tematici che rispecchino i loro interessi. Un giornale nel giornale che sedimenta una comunità di lettori saldamente legati al progetto editoriale e giornalistico di Mediapart.
Qualche esempio. Ottanta abbonati seguono l’edizione chiamata “Pôle emploi mon amour”, dove in questi giorni si dibatte sulla legge sul lavoro del governo Valls, una legge simile al nostro Jobs Act che sta provocando furiose proteste in tutta la Francia. Altri 224 abbonati realizzano e seguono l’edizione “Vert-tige”, per appassionati di giardinaggio. “Les mots piégés du néolibéralisme” è invece un’edizione seguita da 52 abbonati. Le edizioni dei lettori sono centinaia.
Così i giornalisti controllano la società
Quando gli si chiede quali siano gli ingredienti principali del successo di Mediapart, Plenel non ha esitazioni: «La squadra di giornalisti e l’indipendenza. Siamo partiti con 24 giornalisti e sei amministrativi. E dovevano essere dei pazzi per seguirci in questa avventura – dice -. Oggi siamo 39 giornalisti e 26 nei servizi operativi».
E poi c’è l’indipendenza, che può essere assicurata soltanto dall’esistenza di una struttura societaria e da una governance che diano ai giornalisti il controllo delle decisioni. Questo è un fattore imprescindibile per garantire la libertà di Mediapart, sottolinea Plenel.
E allora, come è strutturata la catena di controllo del giornale? Ci sono tre pilastri: i soci-fondatori (che hanno la maggioranza delle azioni); la Società degli Amici di Mediapart; due investitori industriali.
I soci-fondatori sono sette, tra i quali i tre giornalisti che con Plenel hanno ideato il giornale. I sette hanno apportato alla società un capitale di 1.325.000 euro («Ho fatto un mutuo che sto ancora ripagando», sorride Plenel) e oggi controllano il 60% del capitale. I due investitori industriali hanno apportato 1.110.000 euro: si tratta di Jean-Louis Bouchard (della società Ecofinance) e di Thierry Wilhelm (Doxa). Infine la Società degli Amici di Mediapart ha apportato 504.000 euro. Gli azionisti della Società degli Amici sono 88 individui che hanno investito a titolo personale. Tra loro c’è anche Xavier Niel, il genero di Bernard Arnault che ha comprato l’11% di Telecom Italia e che in Francia possiede Le Monde e L’Obs.
In crescita fatturato e utenti unici
Ho incontrato Plenel alcuni mesi fa e da allora il giornale da lui fondato ha continuato a crescere. Nel 2015 Mediapart ha superato i 118mila abbonati, 114mila dei quali sono individuali paganti. Il fatturato è cresciuto del 19% e ha superato i 10 milioni di euro. Il giornale conta più di tre milioni di visitatori unici e circa sei milioni di visite al mese. Dopo aver superato i primi tre anni di attività in perdita, il giornale ha cominciato a guadagnare e lo scorso anno il risultato netto ha superato i 700mila euro. Mediapart non beneficia di alcun aiuto pubblico e non versa dividendi ai suoi azionisti. I profitti vengono tutti reinvestiti nell’iniziativa.
Sui conti 2015 ha pesato una voce straordinaria legata all’Iva. Fin dalla partenza nel 2008 Mediapart ha combattuto una battaglia per l’equiparazione dell’imposta sul valore aggiunto dei giornali digitali con quella dei giornali cartacei. Per questo ha sempre versato un’Iva del 2,1% invece che del 19,6%. Ma l’anno scorso il fisco ha condannato la società a versare 2,4 milioni di euro e Mediapart ha iscritto a bilancio una riserva di 4,7 milioni.
Le nuove leve
Plenel è il volto di Mediapart. In Francia è una celebrità. Partecipa agli incontri televisivi, sollecita dibattiti, è l’immagine pubblica del giornale che ha fondato e che è diretto operativamente da François Bonnet. Ma in questi anni nella redazione sono stati allevati giornalisti investigativi di prima qualità. Le nuove leve hanno, per esempio, il volto di Fabrice Arfi (a sinistra nella foto in alto, con Edwy Plenel), classe 1981, autore di inchieste come l’affaire Woerth-Bettencourt o l’indagine che ha portato alle dimissioni dell’ex ministro del Budget, Jérome Cahuzac. Toccherà a loro portare avanti in futuro l’esperienza del giornale partecipativo.
Plenel mi accompagna al cancello. Ci rivedremo ancora. Mi allontano da Passage Brulon con la certezza che il giornalismo una speranza ce l’abbia.
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angelo.mincuzzi@ilsole24ore.com