«Combatto perché lasciar passare il messaggio di mediocrità significa arrendersi a un sistema, a un sonno non ristoratore, un sonno apatico», commenta Lucia con la grinta di chi non molla. «Credo che ciascuno di noi nell’interlocuzione quotidiana, negli uffici pubblici, al bar, per la strada, debba riprendere a pretendere di più», ragiona Costanza immergendo la sua proposta nella concretezza della vita di tutti i giorni. Benedetta, invece, racconta con amarezza la sua esperienza nelle imprese in cui ha lavorato: «Credo che gran parte delle aziende italiane di media dimensione siano entrate a piedi pari nella crisi proprio perché non hanno mai dato retta a chi cercava di guardare alle situazioni con un certo occhio critico… Ma ora ho imparato la lezione e non esprimo più opinioni. Mi adeguo ed eseguo. E intanto muoio dentro ogni giorno un po’ di più». E Sam, che proprio oggi ha iniziato un programma di outplacement per trovarsi un nuovo lavoro, racconta la sua esperienza di “esubero” in un’azienda appena entrata in un processo di fusione: «Mi hanno offerto di uscire, incentivata e con un servizio di outplacement. Sono entrata in questa azienda e ho creduto ingenuamente di poter dare un reale contributo dicendo la mia. Avevo 30 anni, ma non interessava, dava fastidio, non ero mediocre, obbediente, yesman. All’ennesima delusione è iniziata la seconda fase. Accettazione amara e rassegnazione. Passione recitata. Accondiscendenza. Ho imparato a essere mediocre e ad accantonare dalle 9 alle 18 la mia passione, a fatica, perché lei è forte e mi scorre nelle vene».
Lucia, Costanza, Benedetta, Sam sono le voci dell’Italia ostaggio della mediocrità, le energie vitali che il paese comprime ingiustamente per lasciar spazio alla “mediocrazia”, il potere dei mediocri.
Le energie imprigionate
Il post sul libro del filosofo canadese Alain Deneault “La Médiocratie”, edito da Lux Editeur (nella foto qui sopra) e dall’anno prossimo disponibile anche in italiano, ha fatto in pochi giorni il giro del web e attraverso i social network è stato letto da più di 140mila persone sparse ai quattro punti della terra: non solo Italia ma anche Brasile, Tanzania, Taiwan, Libano, Moldova, Svezia, Australia, Corea del Sud… Le decine di commenti, di email e di messaggi arrivati aprono uno squarcio su un sentimento di allarme e di frustrazione particolarmente diffuso in Italia tra quanti sperimentano sulla propria pelle i limiti di un sistema che invece di liberare vite ed energie, le imprigiona.
«Non c’è stata nessuna presa della Bastiglia – scrive Deneault all’inizio del libro -, niente di comparabile all’incendio del Reichstag e l’incrociatore Aurora non ha ancora sparato nessun colpo di cannone. Tuttavia, l’assalto è stato già lanciato ed è stato coronato dal successo: i mediocri hanno preso il potere». Deneault la definisce una «rivoluzione anestetizzante», scandita dall’atteggiamento che ci conduce a posizionarci sempre al centro, anzi all’«estremo centro»: mai disturbare e soprattutto mai far nulla che possa mettere in discussione l’ordine economico e sociale. Tutto deve essere standardizzato. La “media” è diventata la norma, la “mediocrità” è stata eletta a modello.
Il nervo scoperto della società italiana
«È un nervo scoperto della società italiana, un punto sensibile nella vita di chi non ha santi in paradiso e fa sacrifici ogni giorno per sostenere la propria famiglia ma poi si scontra con una realtà fatta di raccomandazioni e di amici degli amici», considera Dionisio Ciccarese, giornalista di lungo corso e direttore di EPolis Bari. Ciccarese conosce a fondo la realtà del Sud Italia, dove più che altrove i cittadini comuni devono fare i conti con quella “mediocrazia” che – secondo Denault – si è arroccata nella stanza del potere. Meglio ancora, nelle stanze dei poteri. Perché, come il filosofo canadese racconta approfonditamente, i “mediocri” hanno preso il comando in ogni ambito, dal mondo delle università a quello dell’economia, dalla finanza alla politica.
E dunque non stupisce il grido di allarme sollevato dai lettori che i “santi in paradiso” non li hanno, che non fanno parte di nessuna élite o di nessuna casta, e che si ritrovano a subire una penalizzazione aggravata ancora di più dalla crisi economica.
Un paese bloccato
L’Italia, dicono i numeri, è un paese bloccato. L’ascensore sociale che ha consentito ai cinquantenni e ai quarantenni di oggi di salire un gradino più in su rispetto ai propri genitori, si è inceppato. Impietose, implacabili, le cifre che rappresentano questa tragedia sociale sono elencate in un rapporto del Centro studi di Confindustria. Per i 30-50enni con padre operaio le probabilità di restare inchiodati nella stessa classe sociale e di diventare a loro volta degli operai era pari al 61,7% nel 2012 (ultimo dato utile) ma nel 1993 quella stessa probabilità era del 50,5%. L’eventualità di trovare un posto da impiegato, per gli stessi 30-50enni figli di operai, è scesa di 3,3 punti percentuali, così come la probabilità di diventare dirigente, che era già molto bassa (1,3%), si è assottigliata ulteriormente di 0,8 punti. I figli degli operai restano operai, se va bene. Se va male si precarizzano in un call center o in un lavoro pagato con i voucher.
Ma il problema riguarda adesso anche le classi medie. Tra il 1993 e il 2012 è scesa anche la mobilità dei figli di impiegati verso occupazioni più elevate. La probabilità di svolgere la mansione di impiegato come i genitori è aumenta di 4,2 punti percentuali, quella di scendere di un gradino, diventando operaio, è cresciuta di 9 punti. Contemporaneamente si è registrata una diminuzione della probabilità sia di avanzare verso carriere impiegatizie direttive (-8,2 punti) sia di accedere alla libera professione (-3 punti). A non risentire del blocco della mobilità intergenerazionale sono invece le occupazioni più elevate, come quella del dirigente di azienda o del libero professionista.
Il dramma delle giovani generazioni
Se dai 30-50enni scendiamo nella scala generazionale verso i più giovani, la situazione addirittura si aggrava. Secondo il Rapporto Istat 2016 oltre il 42,5% dei giovani italiani sogna di fuggire all’estero per trovare un futuro lavorativo. Il dato che segnala la stagnazione della mobilità sociale – e quindi della speranza di un futuro migliore – è il tasso di disuguaglianza sintetizzato dall’Indice di Gini, salito negli ultimi 30 anni. Il 37% dei giovani sono sovraistruiti, cioé troppo qualificati per il lavoro che svolgono e il lavoro che trovano è al 53,6% atipico, a tempo determinato o parziale. Le famiglie hanno investito risorse economiche per farli studiare ma l’esito lavorativo dell’impegno formativo non rispecchia le aspettative. Ecco che frustrazione e disincanto si diffondo nelle generazioni che dovrebbero essere il motore del paese. A questo si aggiunge il tasso di disoccupazione giovanile (nella fascia tra i 15 e i 24 anni), che ad aprile 2016 era del 36,9% su scala nazionale, con un picco del 65,1% in Calabria.
La mediocrazia nel mondo politico
Il trionfo della mediocrità si inserisce, dunque, in un contesto di depressione economica che ne amplifica le negatività. Gli esempi non mancano. Basta vedere quanto siano importanti le reti di relazione in Italia per decidere il destino di quanti occupano i gangli vitali del sistema economico e sociale. Nelle università, nella sanità, nella politica, nel mondo delle imprese le competenze ci sono, certo, ma a parità di competenza chi è inserito all’interno di un network ben definito prevale sugli altri. Il meccanismo di scelta della classe dirigente è basato sulla cooptazione e il criterio prevalente sembra essere quello della fedeltà piuttosto che del merito.
È il sistema della cooptazione acritica che crea i fenomeni che hanno portato al fallimento le banche i cui soldi venivano prestati ai soliti amici e agli amici degli amici. Oppure che nel mondo politico crea una selezione della classe dirigente mediocre e spesso inadeguata a decidere, come hanno dimostrato in un working paper del 2007 intitolato appunto “Mediocracy” Andrea Mattozzo del California Institute of Technology e Antonio Merlo della University of Pennsylvania.
Nel mondo della politica, «a differenza di quanto avviene nelle imprese di mercato – ha affermato Merlo in un’intervista al Fatto Quotidiano – l’incentivo è differito nel tempo e nella quantità. In pratica chi lavora per i partiti non viene ricompensato a dovere e nell’immediato per il suo impegno ma con una promessa tacita o esplicita di una carica elettiva o di una poltrona (di cui si è certi) e ben retribuita. Un congruo indennizzo alla fedeltà. Questo incentivo determina una selezione della classe dirigente di basso profilo che non è funzionale al Paese ma al partito che vota compatta per sostenerlo. Non a caso abbiamo il record di parlamentari non laureati ma gli stipendi più alti di sempre. Non a caso assistiamo a leggi vergognose per qualunque altro cittadino. L’Italia oggi è la regina indiscussa della mediocrazia che è la legge di equilibrio che tiene insieme il sistema della Seconda Repubblica, quella in cui governano i mediocri».
Ecco perché le voci che salgono dall’Italia ostaggio della mediocrità, come quelle di Lucia, Costanza, Benedetta e Sam, devono trovare delle risposte adeguate. E non tra qualche anno. Adesso.
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