I ricchi diventano sempre più ricchi, i paradisi fiscali continuano a godere di buona salute e le disuguaglianze si accentuano ancora di più in tutto il mondo. Le conseguenze della crisi economica e finanziaria si sentono quotidianamente sulla pelle del 99% della popolazione ma gli studi realizzati da istituti bancari e organizzazioni non governative ci dicono che la crisi non colpisce chi è all’apice della piramide della ricchezza. E questo è un bel problema per la tenuta democratica dei nostri paesi. La crescita delle disuguaglianze alimenta le tensioni sociali e incrina la fiducia nei sistemi politici nati dopo la Seconda guerra mondiale. Non è un bel segnale. Anzi. E’ un sintomo da non sottovalutare come invece è stato fatto finora con grande irresponsabilità. Lo scorso ottobre la consueta analisi del Credit Suisse sulla ricchezza mondiale ha evidenziato come l’1% degli individui più ricchi della terra possieda il 48,9% della ricchezza del globo. Dopo essere scesa al 44,2% nel 2009, la fetta di patrimonio posseduta dai super-ricchi è costantemente salita negli anni della crisi fino a raggiungere quasi il 50%.
Un rapporto dell’organizzazione non governativa Oxfam diffuso a gennaio di quest’anno ha fotografato con più efficacia la situazione attuale. Nel 2015 – è la denuncia di Oxfam – 62 individui possedevano da soli la ricchezza di 3,5 miliardi di persone, la metà più povera della popolazione mondiale. Nel 2010 gli individui che controllavano una ricchezza equivalente a quella posseduta dalla metà più povera del continente erano molti di più: 388. La concentrazione, dunque, procede a un ritmo continuo. In cinque anni (dal 2010 al 2015) la ricchezza dei 62 individui più ricchi del mondo è aumentata del 44% raggiungendo la cifra complessiva di 1.760 miliardi di dollari. Nello stesso tempo le ricchezze della metà più povera della popolazione sono crollate del 41%. La forbice si allarga con tutte le conseguenze negative che possiamo immaginare.
Disuguaglianza come nella Belle Epoque
Il trend è inequivocabilmente in atto ed è stato analizzato e descritto magistralmente dall’economista francese Thomas Piketty nel suo best seller “Il capitale nel XXI secolo” (Bompiani). Il livello di disuguaglianza – documenta Piketty – ha raggiunto quello esistente durante la Belle Epoque, un periodo che ha preceduto una delle epoche più tragiche della storia dell’umanità. I nomi degli uomini più ricchi del mondo compaiono ogni anno nella classifica dei miliardari della rivista americana Forbes: Bill Gates con i suoi 75 miliardi di dollari di patrimonio (nella foto in alto con il fondatore di Facebook, Marck Zuckerberg, titolare di una ricchezza di 44,6 miliardi di dollari) apre il gruppo dell’1% dell’élite globale, sempre in buona salute nonostante la crisi.
L’ultimo rapporto sulla ricchezza globale del Boston Consulting Group (il Global wealth 2016), diffuso qualche settimana fa, conferma ulteriormente la tendenza in atto da quando la crisi attanaglia le economia dei maggiori paesi industrializzati. Ma la lettura dei dati fornisce anche delle indicazioni utili per cogliere alcuni trend che fotografano lo spostamento del baricentro della ricchezza mondiale verso i paesi asiatici.
La ricchezza si concentra
Gli esperti del Boston Consulting Group (Bcg) utilizzano la tradizionale divisione in quattro classi dei più ricchi del globo. Il cima ci sono gli “Ultra-high net worth”, cioé i possessori di un patrimonio personale superiore ai 100 milioni di dollari. Poco più sotto ci sono gli “Upper high net worth”, coloro che hanno un patrimonio tra i 100 e i 20 milioni di dollari. Seguono i “Lower high net worth”, che posseggono tra 20 milioni e 1 milione di dollari. Chiudono la classifica i cosiddetti “Affluent”, il cui patrimonio si colloca tra 1 milione e 250mila dollari.
Le ricchezze finanziarie private che compongono il patrimonio degli uomini più ricchi del pianeta includono il denaro contante e i depositi, i fondi, le azioni quotate e non quotate, i titoli di debito, le polizze vita e i diritti alla pensione controllati direttamente o indirettamente attraverso investimenti gestiti offshore o onshore. Sono esclusi dal calcolo le residenze e i beni di lusso.
Nel 2015, anno di crisi e, per alcuni paesi, anche di recessione, la ricchezza finanziaria degli individui più facoltosi del pianeta è cresciuta del 5,2% rispetto all’anno precedente, raggiungendola cifra complessiva di 168mila miliardi di dollari. È una crescita minore rispetto a quella registrata nel 2014, quando superò il 7% ma comunque di crescita sostanziosa si tratta. Nel 2013 la ricchezza complessiva era di 148,4 trilioni di dollari (un trilione è pari a mille miliardi) e, secondo i calcoli degli esperti del Bcg, è destinata a cresce ancora senza essere scalfita dalla crisi fino a raggiungere la massa complessiva di 224 trilioni di dollari nel 2020.
Nel 2015 tutte le regioni del globo, con l’unica eccezione del Giappone che è stato stimolato da una politica monetaria di supporto, hanno registrato un crescita meno sostenuta rispetto al 2014. A differenza degli ultimi anni, l’incremento dei patrimoni finanziari è stato determinato più dalla creazione di nuova ricchezza (come l’aumento dei redditi familiari) che dalle performance degli asset investiti sui mercati azionari e obbligazionari.
Cambia la distribuzione geografica
L’espansione maggiore della ricchezza è stata registrata nell’area Asia-Pacifico che, insieme al Giappone, è destinata a diventare dopo il 2020 l’area geografica con la più alta concentrazione della ricchezza superando l’America del Nord. Secondo le previsioni del Bcg l’Asia-Pacifico supererà l’Europa occidentale nel 2017.
Complessivamente il tasso di crescita della ricchezza degli individui con patrimonio finanziario superiore ai 250mila dollari supererà il 6% all’anno fino al 2020.
Nell’area Asia-Pacifico le ricchezze del segmento più alto, quello dei super-ricchi (Upper high net worth) sono cresciute addirittura del 21% rispetto al 7% registrato complessivamente dal segmento su scala globale. In Asia le ricchezze dei milionari si moltiplicano a una velocità da record. Globalmente i milionari posseggono oggi il 47% della ricchezza mondiale ma nel 2020 controlleranno una fetta del 52%. I patrimoni continueranno dunque a concentrarsi ancora. La più alta concentrazione di milionari continua a registrarsi in Svizzera e in Liechtenstein (non a caso due paradisi fiscali) ma un incremento sostanzioso di redditi milionari si è verificato nel 2015 soprattutto in Cina e in India.
Gli andamenti nelle macro-regioni
La ricchezza privata in America del Nord è cresciuta a un ritmo inferiore al 2% nel 2015 raggiungendo la cifra complessiva di 60 trilioni di dollari. Nel 2014 l’incremento sull’anno precedente era stato del 6%. Nei prossimi anni le previsioni parlano di una crescita del 5% annuale fino a raggiungere l’ammontare di 76 trilioni di dollari nel 2020. Gli Stati Uniti conserveranno lo scettro di paese più ricco del mondo sebbene l’area Asia-Pacifico-Giappone supererà quella dell’America del Nord dopo il 2020. Gli individui milionari continuano a controllare il 63% della ricchezza totale dell’America del Nord.
L’Europa occidentale ha registrato una crescita della ricchezza privata del 4% nel 2015, rispetto al +6% del 2014. La massa di ricchezza complessiva ha raggiunto i 41 trilioni di dollari. Nell’Europa dell’Est l’incremento è stato del 6% a 4 trilioni di dollari (contro l’11% del 2014). In Russia la crescita si è più che dimezzata (dal +19% del 2014 al +8% del 2015).
L’area Asia-Pacifico è l’unica regione a registrare una crescita a due cifre della ricchezza, salita del 13% a 37 trilioni di dollari. La Cina resta il principale motore della regione. Il Giappone ha invece accelerato la crescita (+4% a 14 trilioni di dollari rispetto al +3% del 2014) mentre in l’America latina la ricchezza è aumenta del 7% a 5 trilioni di dollari. Infine nel Medio Oriente-Africa il livello di ricchezza privata è salito del 3% a 8 trilioni di dollari.
Le prospettive dei paradisi fiscali
I paradisi fiscali continuano a raccogliere ricchezza da ogni parte del mondo anche se il 2015 fa registrare alcune tendenze interessanti. Le ricchezze domiciliate nei centri offshore (cioé in paesi diversi da quello di residenza dell’individuo) sono cresciute del 3% nel 2015 e hanno raggiunto la cifra complessiva, secondo il rapporto del Bcg, di 10 trilioni di dollari.
Un fenomeno ben visibile nel 2015 è l’accelerazione del peso delle regioni di nuova industrializzazione (il nuovo mondo) rispetto alle regioni già sviluppate nello stock di patrimoni conservati nei centri offshore. Oggi il 65% delle ricchezze stoccate nei paradisi fiscali proviene dal nuovo mondo: cinque anni fa la quota era del 57%.
L’aumento delle regolamentazioni per contrastare l’evasione fiscale stanno rallentando l’afflusso di capitali nei paradisi fiscali soprattutto quelli provenienti dalle aree del vecchio mondo. Nonostante questo, l’afflusso di ricchezza registrerà un trend di crescita del 5% all’anno (in rallentamento) fino al 2020.
Tra i centri offshore, Hong Kong e Singapore hanno messo a segno la crescita più robusta (circa il 10%). La Svizzera resta nonostante tutto la principale destinazione di ricchezza: da sola detiene un quarto degli asset domiciliati nei paradisi fiscali. In questa classifica, la Confederazione elvetica è seguita dal Regno Unito e dai paesi dei Caraibi, Panama inclusa.
Hong Kong e Singapore hanno un futuro radioso, secondo gli esperti del Bcg. Continueranno ad attrarre ricchezze a un ritmo di crescita del 10% all’anno fino al 2020 e la loro quota di ricchezza globale passerà dal 18% del 2015 al 23% nel 2020.
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angelo.mincuzzi@ilsole24ore.com